Pensare con tutto il corpo (Te’ filosofico del 14 novembre 2010)

Più procediamo nella nostra esperienza nei te’ filosofici alla sala da te’, più mi ritorna in mente la prima volta che in quella sala sono entrato. Fu in occasione di un seminario di Augusto Sabbadini (persona preziosa, spero di riuscire a coinvolgerlo nei nostri incontri). Una piccola introduzione all’IKing di cui Sabbadini è un profondo conoscitore. Mi tornano in mente queste cose perché ho l’impressione che l’esperienza che stiamo facendo si tessa secondo leggi tutte sue. Non certo le leggi della logica e della programmazione a tavolino. Emergono nessi sincronici che mi evocano appunto più l’ IKing che non una comune programmazione culturale. Pensando il percorso svolto fin qui non è immediato cogliere un nesso che invece per chi abbia partecipato è sorprendente. Siamo partiti dalla bellezza sostenibile. L’abbiamo trovata come il giusto modo, per ciascuno di abitare il proprio corpo. Il corpo quindi come la prima casa dell’uomo. Siamo quindi passati alla riflessione sull’abitare. Che cosa è quindi che ci fa sentire a casa. La casa è anche quanto non ci fa sentire fuori posto, fuori luogo, in un non-luogo. La casa come domicilio dell’identità. Il linguaggio come casa dell’essere. Abbiamo quindi esplorato il versante opposto. L’alterità, il viaggio che ci può portare in un territorio altro che la casa. Inconsueto, straniante. Domenica scorsa, Mario Biondi, che non era dettagliatamente al corrente del lavoro svolto, ha esordito affermando che il libro è una casa e quindi si costruisce architettonicamente. I suoi libri nascono da esperienze di viaggi. I suoi viaggi sono modi di conoscere altro e l’altro. L’esperienza del viaggio è un modo della conoscenza che tiene insieme teoria ed azione. Ma sopratutto una partecipazione di tutto il corpo alla conoscenza. Conoscenza della testa, del cuore, della pancia e dei piedi. La biografia stessa dell’autore incrocia polarità distanti. Un […]

Lasciate il vostro peso alla terra. Il grado uno della meditazione.

L’apprendistato della mia meditazione ha radici nell’apprendistato della mia invalidità. Strane sincronicità per cui, come concludevo ne “Il gioco del silenzio”, cose molto buone o molto belle confinano con cose molto cattive o molto brutte. Fatto sta che a sedere a gambe incrociate io non ho imparato in una sala di meditazione, ma in una piccola palestra di fisioterapia, nel centro paraplegici del Pio Istituto Santa Corona a Pietra  Ligure nell’estate del 1981. Avevo poco più di 20 anni ed ero reduce da una lesione midollare che tutt’ora mi affligge. Appena arrivato in palestra le fisioterapiste mi facevano scendere dalla carrozzina al tappeto e mi dicevano semplicemente “Mettiti lì e stacci, a gambe incrociate, così ti decontrai…. Resta lì un po’…, ancora un po’…, non ti fa mica male! E quanto a casa ti alzerai, al mattino, prima di metterti in  moto, resta un po’ lì al tappeto”! Come io abbia imparato a far scendere le ginocchia al tappeto non lo so e non lo ricordo. Probabilmente è un segreto custodito nella scatola nera della mia memoria muscolare. Sì, perché muscoli, tendini e quant’altro nel corpo fisico, che crediamo di conoscere, hanno una memoria del genere e spesso non è facilmente accessibile. Certo è che, quando circa 10 anni dopo dovetti provare questa posizione per la meditazione, paradossalmente mi riuscì più facile che alle persone normali. Che dolgano le ginocchia, mettendosi seduti a meditare, è da considerarsi normale. Seduti come gli orientali, gli occidentali non riescono a starci senza un certo allenamento. Ma tutti gli insegnanti di meditazione minimamente equilibrati lo sanno e lo dicono. Si può meditare benissimo anche su una sedia. A ciascuno però tale ipotesi appare immediatamente come il coniugarsi nel registro di un bodhisattva-diversamente-abile. Eh no. Io no! Ho avuto la fortuna di imparare i primi […]

Lustrar le piastrelle: la guarigione da un incubo grazie agli esercizi filosofici.

Ho frequentato un memorabile ritiro di pratiche filosofiche in un inquietante convento. Uno di quei conventi del giorno d’oggi. Freddi come il marmo lucidato. Puliti. Inossidabili. Poi tutto è filato bene. Lo choc è stato all’inizio. Il pavimento. Si, quel pavimento mi faceva paura. Tirato a lustro in un modo che nemmeno dopo averci camminato sopra per 3 giorni di pioggia cinquanta persone è riuscito a sporcarsi. E’ il pavimento che all’inizio ha mosso in me ricordi  inquietanti. Viene in mente anche l’araucaria del “Il lupo della steppa” di Hermann Hesse. Cose orribili che finiscono per diventare sublimi. E viceversa. Gran mistero anche questo. Così la memoria si è messa in moto. Una memoria che mi ha riportato dritto all’infanzia. Anni cinquanta. Milano, via Savona 10. Adesso è diventato underground. C’è anche un teatro. Allora soltanto una via un po’ sfigata. Mio padre immigrato da poco da un paesello pugliese. La mamma invece a Milano ci è nata. Figlia di immigrati dello stesso paese ma vent’anni prima. Così lo ha accolto a Milano e lustrava le piastrelle in via Savona. China come la Maddalena che asciugava i  piedi con le chiome fluenti. E’ di quelle piastrelle che vorrei parlare. Mica lucide come quelle del convento inossidabile. Lì costava davvero fatica lustrarle. Allora non si parlava ancora del PIL. Si viveva nel boom economico e il livello sia  morale che sociale era determinato da quanto le piastrelle brillassero. Praticamente tutta la famiglia era un’azienda che aveva per oggetto sociale la lucidatura delle piastrelle. Al raggiungimento di questo obiettivo collaboravano tutti. Proletari al lavoro! Nanetti calzolai, sette nani: “Andiam, andiam, andiamo a lavorar!” Allegramente! I genitori, i nonni e, purtroppo, anche i bambini. Si, perchè quelli sporcavano un bel po’. E tutti i lavoratori ci davano sotto. Ma a far cosa? A camminare avanti e […]

Il Linguaggio come Casa dell’Essere: te’ filosofico del 24 ott. 2010

Queste poche righe per invitarvi al te’ filosofico di domani mattina. I nanetti calzolai di cui parlavo la settimana scorsa han lavorato. Sono riuscito a intervenire e non ho potuto riscontrare altro che questa buona notizia. Ci sono persone che tornano volentieri e che han voglia di incontrarsi e di parlare in modo semplice, vissuto e vivente degli spunti offerti. Spunti non sempre riconducibili ad una immediatezza, riflessioni spesso di notevole complessità. È il caso di questa svolta del nostro lavoro. Avevamo progettato qualche mese fa i primi temi generali su cui orientare la riflessione del le prime settimane. Avevamo scelto due temi iniziali. La bellezza (riflessione svolta nei primi incontri grazie allo stimolo offerto dalla presentazione del libro “La bellezza sostenibile”. Questo è avvenuto. Possiamo ripercorrerne la memoria nei posts precedenti che riguardano i primi tre incontri. Il secondo tema, nel nostro progetto era la Domus, la casa nella valenza archetipica. In quella valenza in qualche modo comunque sottesa da chi sceglie, per arredare la propria casa, un certo stile, una sensibilità piuttosto che un’altra. Tema ovviamente caro e tasto sensibile per chi si riferisce a Cargo con questa domanda. Ciò che in fondo non avevamo previsto e che abbiamo accolto come un dono è la ricchezza di temi e riferimenti portati dal prof. Silvano Petrosino che ha presentato il suo libro “La Scena dell’Essere”, ricco di riferimenti a temi affascinanti, ma non immediatamente assimilabili per i non addetti al lavoro filosofico, presenti nell’opera di Levinas, Derrida, Heidegger. Particolarmente toccante il riferimento al tema di quest’ultimo legato al saggio “Costruire, abitare, pensare”. Un saggio del 1951 in cui emerge con radicalità, ma anche con una sorta di freschezza e di rinnovata vocazione, una sorta di metafisica delle piccole cose. Dalle piccole/grandi azioni che costituiscono l’essenziale dell’esistenza umana. Ovviamente queste […]

Il gioco del silenzio – Il grado zero della meditazione

Ci sono giochi giocati o fatti giocare ai bambini intorno ai primi anni ’50 che, a ricordarli oggi, vien la pelle d’oca. Uno è rimasto conficcato dolorosamente nella mia memoria come un chiodo. Il gioco del silenzio. Per attenuare immediatamente la drammaticità della cosa, posso dire che ne coltivo la memoria grazie ad un fatto curioso. Un po’ misterioso. Nella camera segreta del cuore, nella memoria umana, per una curiosa dinamica, cose molto gradevoli e cose molto sgradevoli si richiamano secondo assonanze, convergenze paradossali. Svelerò questo nesso solo in conclusione. Per ora resti solo una buona promessa. Un proposito. Questa narrazione non è, da parte mia, mossa da risentimento. Nemmeno da un gusto dell’orrido che non credo di aver mai coltivato. Nemmeno i film di questo genere han su di me alcuna attrazione. Il gioco del silenzio veniva proposto nell’ultimo quarto d’ora dell’orario scolastico della scuola elementare. Probabilmente la lezione era finita un po’ prima. Il maestro era stanco. Forse semplicemente stufo. I giochi eran fatti. I voti assegnati. I compiti annotati sul diario per controllo del genitore che avrebbe dovuto firmare e supervisionare questa e altre cosette sgradevoli. Note di demerito, compiti in classe. Ognuno tornava casa col proprio fardello. Io avevo sempre qualcosa da temere e di cui preoccuparmi. Qualcosa che tende ad accompagnarmi ancor oggi. Ora però ho imparato a conviverci. Ma quegli ultimi minuti avanzati…. ridondanti….! Che ossessione! Bisognava attendere il suono della campana per uscire dall’aula in fila per due, secondo la propria altezza. All’inizio dell’anno e ogni qualche mese si sceglievano le coppie. Si marciava fino alla strada in cui finalmente ci si scioglieva. Inutile dirlo, parlo di classi solo maschili! Ma nei ritagli di minuti di cui dicevo, emergeva la natura più disgustosa e perversa dell’istituzione scolastica: il gioco del silenzio. Ognuno doveva […]

I nanetti calzolai. Per il Te’ filosofico del 17 ott. 2010

Maison du Mekong

Con queste poche parole vorrei invitarvi al te’ filosofico di domenica prossima. Da due settimane ci manco. Una prima volta per turno di riposo, la seconda per malattia. Di questa mi dispiace particolarmente. Domenica scorsa è partito il secondo segmento del nostro percorso di navigazione. Quello che ci porta a chiederci cosa significhi abitare. Abitare un casa, una città, un pianeta. Per un verso ciascuno viene qui a Cargo per perfezionare il proprio abitare, la propria abitazione, per altro verso la domanda “che cosa significhi abitare” potrebbe trovarci imreparati. Forse non abbiamo nemmeno intenzione di porcele. Non è che se non ce lo chiediamo non continuiamo a “costruire la nostra casa” interiormente o esteriormente. Ciò che è umano ha questa ambiguità fondamentale. Possiamo fare un passo filosofico è chiederci perché, cos’è, come? Possiamo continuare senza chiedercelo. L’intuizione di cosa ci serve per “sentirci a casa” lavora silenziosamente in noi. Depositata sul fondo. Inconsciamente, se siamo in vena di psicologismi. Altrimenti va bene lo stesso. Lavora di notte come i nanetti calzolai al desco del calzolaio addormentato. Non so se ci sarò domenica. Lo vorrei molto. Altrimenti sarò il calzolaio addormentato. E la parte dei nanetti calzolai la faranno le amiche fidate. Le colleghe BBB e VV. Barbara Beonio Brocchieri e Viviana Paramithiotti. BB ha compilato con diligenza un sommario e lo ha pubblicato sul suo blog. Per parte mia, se ci sarò, come spero, interrogherò! Eh, eh…. la grande arma degli insegnanti! Scherzo! Vorrei invece concludere con una riflessione che mi sta a cuore. Se, come mi auguro, sarò presente domenica, vorrei chiedere ai partecipanti di raccontarmi che cosa ricordino dei due precedenti incontri precedenti. Prova cruciale per tutti. Esperimento che ci mette a nudo e che verifica il senso del nostro cammino. Anni fa, quando insegnavo storia delle religioni al […]

Il tema dell’ABITARE al Te’ Filosofico di domenica 10 ottobre

Cari amici, il circolo virtuoso indicato le settimane scorse in precedenti posts prosegue e sembra consolidarsi negli appuntamenti del Te’ Filosofico la domenica mattina alle 11 alla Maison du Mekong presso Cargo a Milano. Domenica scorsa non ero presente e non posso darvi testimonianza. Spenderei invece volentieri qualche parola per invitarvi alla presentazione di un libro del prof. Silvano Petrosino edito da Jaka Book di cui trovate una scheda qui. Come il mese scorso, prendiamo spunto dalla presentazione di un libro, il cui autore si presti ad intervenire personalmente prestandosi al dialogo filosofico. Dialogo che poi proseguirà per altri incontri di approfondimento della riflessione. I temi che avevamo annunciato come prioritari, oltre al tema già svolto della cosiddetta bellezza sostenibile (estetica/etica), erano quelli della “fenomenologia” dell’abitare e della relazione di coppia e dell’educazione dei figli. Cominciamo così domenica 10 ad affrontare il tema dell’abitare. Essendo Cargo un luogo prevalentemente indirizzato all’arredamento della casa. A rendere il nostro abitare coerente con il nostro stile di vita, con la nostra estetica, con le esigenze del nostro abitare. Ma, a questo proposito: che cosa significa abitare? Quando abbiamo la sensazione di sentirci “a casa nostra”? Che cosa ci fa sentire “orientati” e abitanti questo mondo? Sono domande che non solo possiamo porci in modo concreto pensando alla nostra esperienza, sono domande che attraversano la filosofia contemporanea dopo Nietzsche. Penso ad Heidegger, Levinas, Derrida ed altri. Che cosa significa abitare, costruire (o de-costruire), coltivare, pensare? Sentirsi a casa o sentirsi in uno stato di straniamento? In sintonia o meno con la città o con l’ambiente. Inizieremo questa riflessione con l’aiuto di Silvano Petrosino, Professore associato confermato di Semiotica, Facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università Cattolica di Milano, incaricato di Filosofia Teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione della sede di Piacenza. L’appuntamento, […]

Occhiali

Due pensieri mi accompagnano ogni giorno nella relazione con questo oggetto prezioso. Dall’età di quarantadue anni circa, non sarei in grado di leggere senza occhiali. Il mio oculista disse subito che era buon segno. Coloro che dopo i quarant’anni non sapessero che cosa fosse la presbiopia non sarebbero state, a suo avviso, persone dalle sviluppo “normale”. Non che io creda ci sia più nulla di “normale”al mondo… Mi sono però figurato che lo sviluppo dell’essere umano comporti il lasciar andare, l’indebolimento di questa funzione. C’è forse una logica nel fatto che il mattino indossiamo prima la camicia e poi la giacca e il cappotto e quando ci spogliamo seguiamo ovviamente il senso inverso. Così le facoltà di cui ci si ammanta. Di cui ci si veste e ci si spoglia. Né la nascita né la morte avvengono in un unico momento. Sono processi progressivi. Si tratterebbe quindi di lasciare andare non il vedere ma la capacità di leggere che abbiamo acquisito durante la scolarizzazione. Che così sia o non sia secondo ragione, in fondo, poco mi importa. Soprattutto poco importa alla vita che, fortunatamente, scorre ben al riparo dai nostri pensieri. Passa altrove. L’affermazione del mio oculista, l’evidenza del mio sintomo, non muovevano in me teorie, ma piuttosto una sorta di scintilla immaginativa. Che tendeva poi a diventare esortazione morale. Diceva: “Smettila di leggere!” Mi viene un dubbio. Se, tutto sommato, il buon Dio, prima di morire, avesse disposto le cose secondo un suo disegno… Se ci fosse un buon motivo per non poter più leggere dopo i quarant’anni? Ma Dio è morto dimenticando di spiegarci un sacco di cose. Certo, esiste il Testamento di Dio. Quello che comunemente chiamiamo La Scrittura. E sono in molti a credere non si tratti soltanto del libro chiamato La Bibbia. Ma lasciamo andare […]

Sostenere simultaneamente due idee contrapposte senza perdere la capacità di funzionare (Te’ filosofico del 26-09-10)

“Il banco di prova di una intelligenza superiore è la capacità di sostenere simultaneamente due idee contrapposte senza perdere la capacità di funzionare”. Questa frase è di Francis Scott Fitzgerald e la trovate ne “Il crollo” (ed. Adelphi). Domenica scorsa , dopo l’inaugurazione e la presentazione delle regole del gioco, il gioco è cominciato. Idee contrapposte sono state sostenute simultaneamente e ciascuno è diventato per un attimo dubbioso di quelle che riteneva le proprie. Non le riconosceva più, oppure avrebbe preferito cambiarle. Tutto questo semplicemente ascoltando gli altri. Te’ filosofico in azione. Circolo virtuoso. Idee contrapposte. Metamorfosi. Ascolto e comprensione. Fluire delle opinioni. Dubbio sulle proprie. Voglia di pensare. Voglia di ritornare. E non è questo l’esercizio della filosofia? Ah, forse pensavate che essere filosofi volesse dire avere ben precise magari rigide e definite? Ma poi, se non c’è più l’Agorà, che ci sia almeno il nostro te’, domenica mattina al Cargo! Io non son filosofo e non posso dirlo ma BBB (Barbara) e VV (Viviana), che lo sono, mi sembrano abbastanza abili a guidare il gioco appena descritto. Quasi che il pensiero sia un muscolo dell’anima da tenere allenato. Paradossalmente si nutre di contraddizioni più di quanto non ne risulti indebolito. E pensare che i politici e i pubblicitari fanno tanto per manipolarle e soprattutto per non farcele più cambiare! Peggio per loro. Ma, a buon intenditor poche parole. Per indicarvi concretamente di cosa sto parlando provo a far qualche esempio di quanto avvenuto. Che relazione c’è tra bellezza/maschera/trucco? Sottolineano e/o nascondono. Si son sviluppati pareri diversi a volte contrapposti. Si è belli o ci si sente belli? Ci si sente belli per piacere a chi? Qualcuno giustamente sostiene che cerchiamo di piacere agli altri e da qui si spalanca l’abisso (o l’inferno?) del consenso. Bellezza e/è potere? Qualcun […]

L’uomo dal ciuffo d’argento

Sembra che davvero piova. Che io abbia un po’ di febbricola. Ma non è una buona ragione per non scendere. Due giorni di riguardo. Ora posso scendere a bere un caffè col mio amico. Lui poi rienta da solo. I figli lo attendono a casa. Rientro ma indugio al tavolo e al banco. In fianco a me un uomo, presumibilmente della mia età. Mi confesserà poi esser del ’50 come me. E’ una faccia simpatica. Malinconica, ma ti vien voglia di averlo come amico. La faccia di uno che ha la tua età e che ha vissuto le stesse tue cose. Ma lui è più bello, soprattutto meglio conservato. Ha ancora il suo ciuffo grigio-bianco (che è anche più charmant). Da anni osservo che gli uomini più sicuri di sé non perdono il ciuffo. Il ciuffo è davvero qualcosa che ha a che fare con la dimensione fallica. Ci sono anche nelle fiabe i personaggi col ciuffo. I bravi del Manzoni. Una delle poche cose che ricordi volentieri di quell’insopportabile romanzo (si lo so, professoressa, il Manzoni è democratico e pone gli umili al centro di un romanzo democratico perché storico, ma, professoressa, che due palle!). Dicevo del ciuffo. Sì, io il ciuffo l’ho perso. L’ho perso né presto né tardi, mi sembra. A 50 anni. E va bene così. Rendere a Cesare quel che è di Cesare. Lui è di quelli che hanno ancora un bel ciuffo e i jeans li indossa ancora come si deve. Da un po’ mi capita di incontrarlo nel quartiere e lo guardo sempre con interesse. Con simpatia. Mi par di conoscerlo. Mi sembra che suonasse la chitarra elettrica in qualche gruppo qui in zona. Sicuramente più bravo di me che grattuggiavo “Blowin in the wind” a oltranza. Come me si ricorda tutto, il […]

Un circolo virtuoso. Testimonianza dal Te’ Filosofico del 19 sett. 2010

Dal diario di bordo di Francesco (ffw) Un circolo virtuoso è il contrario di un circolo vizioso. È ciò che abbiamo cercato di mettere in moto domenica scorsa nella sala da te’ Maison du Mekong, presso Cargo a Milano. Un po’ di anima dei luoghi. Cargo è ricavato da un dismesso edificio industriale. La fabbrica dell’ Ovomaltina. Son più di dieci anni che ho in animo di avviare una attività culturale in un edificio di archeologia industriale. Mi affascina l’idea che, dove ieri generazioni di operai hanno sudato la loro sopravvivenza, oggi si faccia cultura. Una cultura che possa essere il frutto delle fatiche di uomini che han lavorato. Anche per me la conoscenza è una fatica, un lavoro, ed esigo, per me e per gli altri, che sia uno strumento per la vita. Per vivere meglio la vita. Se non bastasse aver costruito un centro commerciale postmoderno dove c’era una fabbrica moderna (ancor perfettamente riconoscibile dall’esterno), l’architetto Mauro Bacchini negli ultimi mesi si è cimentato in una impresa ancor più intrigante. Ha ricavato una sala da te’ in stile vietnamita Mekong in questo centro commerciale ricavato in una fabbrica dismessa. Curioso gioco di scatole cinesi. Ho iniziato parlando di questo perché questo è ciò che ha colpito di più i partecipatanti al primo incontro, domenica scorsa, del Te’ Filosofico. Un momento che vorrebbe creare un altro circolo virtuoso. L’abitudine ad incontrarsi ogni domenica mattina per bere un te’ e dialogare secondo lo stile inaugurato dal Caffè Filosofico parigino, secondo la tradizione antichissima del dialogo e delle consulenza filosofica, che non avveniva nelle aule della sapienza (oggi le università) ma in piazza. Nell’agorà. Oggi forse anche il centro commerciale. A giudicare da quale pellegrinaggio di automobili vediamo avviarsi nei giorni prefestivi e festivi verso i centri commerciali. Come la messa […]

Discepoli e maestri

I grandi maestri hanno sempre cattivi discepoli. Nessun discepolo riesce mai a sviluppare ulteriormente l’opera del maestro. Più che comprensibile, del resto, per individui di tal calibro! Scoppiano (e solo fenomeni caratteristici del secolo) diatribe sanguinose, veri e propri scismi sulla giusta interpretazione e continuazione dell’opera del maestro.
Sembra quasi che tali maestri non abbiano (o non abbiano più) bisogno di discepoli. Questo in Nietzsche è stato espresso in modo molto esplicito. Essere discepoli di questo o quel maestro di pensiero oggi è davvero sospetto. Sembra piuttosto che gli accaniti discepoli di un maestro siano attratti dai punti più deboli e controversi della sua opera. Dalle inevitabili ombre presenti nell’opera del maestro. Si può pensare però che ogni maestro, in qualche modo, abbia i discepoli che si merita. Sembra che tante siano le “ombre” tanti siano i discepoli. E siccome tali personaggi, l’ho premesso subito, mi appaiono anime particolarmente abitate da ombre, ecco che immediatamente vengono evocate, come magicamente, quasi per effetto della recitazione di un mantra, turbe, un po’ demoniche, di petulanti discepoli.

TE’ FILOSOFICO

TE’ FILOSOFICO. Un’occasione che diventerà un’abitudine. Domenica 19 settembre 2010, h. 11.00 CARGO – via Meucci 39, presso la Maison du Mekong Milano Tutte le domeniche da Cargo, la sala da tè Maison du Mekong ospiterà una serie di incontri, aperti al pubblico, in cui si parlerà di fidanzati/e, ex fidanzati/e, mogli/mariti, ex mogli/ex mariti, figli/e ma anche di bellezza, di arte, di etica, di diversità, di Milano e di politica, di giardini, di orti e di libri. Nel primo incontro Cargo&HighTech in collaborazione con Salani Editore vi invitano alla presentazione del libro “PER UNA BELLEZZA SOSTENIBILE” con la partecipazione degli autori: Silvia Brena e Bruno Mandalari. Complice l’atmosfera di convivialità e con l’aiuto di tre moderatori, lo psicanalista Francesco Pazienza e le consulenti filosofiche Viviana Paramithiotti e Barbara Beonio Brocchieri, ci si confronterà su questioni di immediata attualità, dialogando alla maniera degli antichi filosofi. A seguire durante il pranzo sarà possibile approfondire la discussione con gli autori ed i moderatori. Menù degustazione a base di Dim Sum. E’ preferibile prenotare, inviando una e.mail a: libri.cargo@cargomilano.it o telefonando al numero 02.27221377 Scarica il programma completo del TE’ FILOSOFICO

Una riforma sociologica

Una riforma sociologica

E’ ora che scriva una storia che alberga nella mia mente da almeno trent’anni. Solo dopo averla raccontata, nel primo poscritto, dirò come e in che occasione è stata concepita. Si tratta di una pagina di fanta-sociologia o, più propriamente, di fanta-antropologia. Sicuramente di fantascienza. Mi piacerebbe potesse essere espressa nel linguaggio dell’amatissimo Marcel Mauss. Una cosa alla Claude Levi-Strauss. Perdonate, ovviamente,  non ne sarò all’altezza.Lo scivolamento, inevitabile mentre scrivo, verso l’espressione di una utopia è sicuramente roba mia e la dedico con un po’ di stizza a coloro che in queste ore pregustano (che gusti barbari!) elezioni anticipate e una nuova mefitica campagna elettorale in Italia. Una scontata ennesima sconfitta della sinistra. Dio ce ne scampi. Chi vuole prenda rifugio qui! E’ pensabile una struttura sociale in cui l’acquisto delle merci possa avvenire solo in liberi mercati rionali all’aperto. Mercati rionali cui tutti possano accedere. I figli possono essere accompagnati dai genitori o viceversa, ma mai insieme. I figli hanno diritto ad effettuare acquisti dopo il compimento degli 11 anni. Prima non possono frequentare il mercato, nemmeno accompagnati dai genitori. Possono ricevere le merci solo come dono dei genitori nelle 5 feste dell’anno di cui si dirà. Tra gli 11 e i 19 anni i figli possono effettuare gli acquisti finanziati dalla famiglia secondo le possibilità economiche di questa. La condizione però affinché tale transazione economica possa avvenire è che l’accompagnatore del soggetto acquistante (genitore o figlio che sia) debba ripartire, completata l’operazione, con un genitore o un figlio differente con quello con cui è arrivato. La condizione per acquistare merci è pertanto che si mutui la composizione del nucleo familiare. La transazione economica risulterebbe pertanto una funzione dell’interscambio di genitori e figli. Non risulterebbe quindi altra possibilità, per mantenere costante ed unita una famiglia di tipo nucleare-tradizionale, se […]

Artrosi cervicale & amor cortese

Questa pagina conclude il racconto delle due precedenti Sala operatoria   e    L’Angelo di s. Pietroburgo.   Prologo  (cantata) Chi scrive non ha mai vissuto una “storia estiva”. D’estate è solo il Sole che lavora sui corpi. A lui i corpi si offrono con fiducia. Ne viene fecondato il seme della bellezza. Non tradire la confidenza. Che solo il Sole possa sfiorare la pelle. La maturità dei “frutti della passione” arriva con la maturazione dei frutti più dolci. Sono nato in autunno e son quelli i frutti che amo di più.  Le mele e le pere.  I fichi e l’uva. Dioniso. Lì, ogni anno, si rinnova il mistero della mia nascita. Attraverso ancora una volta l’estate: si può andare e venire, dovunque e con chiunque. Ma ho sempre trovato l’estate come un deserto da attraversare. Cerco di farlo con diligenza perché so che lì si forgia il carattere. In quelle fornaci. Le grandi guerre del passato son state combattute nel segno del Leone. Attraversando quelle forche caudine si perviene al “gran premio”. Per descrivere il passo ondivago del villeggiante, l’odissea del vacanziere, esiste una espressione milanese impagabile: balabiott. Indica letteralmente colui che balla nudo. Svestito. Ho vissuto la mia giovinezza portando nel cuore l’immagine di Cesare Pavese, vestito di tutto punto, seduto su una sdraio sulla spiaggia. Se ben ricordo, leggeva pure! Lui si, forse drammaticamente, non aveva nulla del balabiott! Inutile fare i gradassi d’estate. E’ solo la natura ed il sole che canta nei nostri corpi. E’ qualcosa di cui non abbiamo alcun merito. Possiamo lodare il sole nello splendore dei corpi. La nostra vita ricomincia in settembre. I corpi abbronzati ritornano alla vita sociale, in città. Da settembre ricominciano i giochi. I giochi veri: il lavoro, la vita quotidiana, gli impegni, il lavoro. I giochi più belli son […]

L’Angelo di San Pietroburgo

Angelo di San Pietroburgo

Questa nota non costituisce la continuazione, ma l’antecedente di quella già pubblicata col titolo “Sala operatoria”. Mi è necessario partire da un ulteriore antecedente senza del quale la narrazione di oggi non assumerebbe la prospettiva voluta. Lezioni di pianto Da bambino e ragazzo sono stato rimproverato di “avere un cuore di pietra”. Mi sono sentito colpevole di non avere pianto davanti al primo film a cui assistetti in vita mia: “Bambi“. Ma che dire… era la prima volta… forse guardavo la sala, i giochi di luce. Forse non ero ancora pronto anche se tutta la sala versava calde lacrime. Pochi anni più tardi non ho pianto, quando mio padre è stato in punto di morte! Però sono indelebili i ricordi e le frasi, gli scrollamenti di capo dei medici che andavano e venivano da casa nella notte di un 14 luglio. I ricordi abitano pur sempre in quella che Dante definisce “la camera segreta del mio cuore”. La camera oscura, direi io. Non ho pianto per le prime, laceranti, delusioni d’amore. Oscuravo solo completamente la camera, appunto. Non vedevo proprio niente. Nessuna luce. Non ho pianto quando, nei miei 30 anni, mio padre è morto improvvisamente dopo avermi detto cose misteriose e terribili a pranzo. I giorni della morte aleggiava nel terremoto d’Irpinia. Fu solo verso i 35 anni che sono riuscito a versare lacrime calde e commosse in una circostanza che, per quanto ci abbia lavorato tanto in sedute di analisi e meditazione, mi resta tuttora abbastanza misteriosa. Nel 1985 ricevetti a in Svizzera l’iniziazione di Kalaciakra conferita da sua santità il Dalai Lama. Come credo la maggior parte dei presenti non ne capii un accidente. Caldo continentale di agosto. Nella campagna intorno a Winterthur. Tendoni bianchi, enormi, soffocanti, prime ore del pomeriggio, interminabili giri di traduzioni in almeno […]

Sala Operatoria

Francobollo Croce Rossa

Penso spesso a come le acquisizioni umane penetrino nella coscienza attraverso porte diverse, talvolta successive. Sembrano quasi orientate in un certo ordine. Mi hanno sempre colpito un paio di esempi. La prescrizione di lavarsi le mani prima di mangiare appare nel Talmud come regola di disciplina purificatoria in ambito religioso. Occorrerà arrivare a Pasteur per scoprire un fondamento “scientifico” a questa procedura. Nei Veda troviamo tra l’altro la ricetta del riso condito col burro. L’idea dell’atomo, come noto, appare nelle più antiche scritture indo-ariane. Ne hanno parlato i Rishi nei Veda, è stata oggetto di speculazione filosofica e poetica presso i greci ed approda a modello tuttora impiegato nella fisica e chimica moderne. Entrando nei mesi scorsi in una sala operatoria ho avuto l’impressione di attraversare qualcosa che già avevo conosciuto in qualche altra forma. L’igiene, accennavo, appare come lavacro animico spirituale nella vita religiosa e come igiene nella prassi medica. Arrivare in sala operatoria, compiuta la preparazione (somministrata anche agli iniziandi) implica attraversare una serie di soglie. Una serie di “passaggi della soglia”. Immagine anche questa presente nella letteratura sapienziale. Il sentiero graduale. Le diverse sfere del cielo. In queste soglie addirittura cambiano i traghettatori (barellieri simili a Caronte) e si passa di mano in mano ad individui sempre più rigorosamente imbavagliati. Come non pensare alle società massoniche e segrete ai sacerdoti o sacerdotesse bendate e al volto del confessore invisibile oltre le grate. Ci sono almeno tre soglie di progressiva “purificazione” – sterilizzazione”. Val la pena anche di ricordare che più ci si avvicina alla sala operatoria più fa un freddo cane. L’ultima domanda che ricordo di aver fatto prima di ricevere la pre-anestesia fu “Perché tanto freddo?”. E l’anestesista: “Perché il freddo sterilizza”. Accipicchia, mi sentivo sulle prime falde del monte Meru! Secondo i miei amici steineriani, […]

TAGLIARE LE CORDE DELL’ARPA (Libera pluridecennale riflessione sulla psicanalisi)

Le corde dell'arpa

Negli anni sessanta e settanta mi capitava di partecipare alla sensazione che la psicanalisi avesse a che fare con qualcosa di “scandaloso”. Era facile, ancora in quegli anni, trovare nel riferimento alla sessualità qualcosa di scandaloso. Echi dello sconcerto che il dott. Freud deve avere generato nella Vienna cattolica e “cacanese” Di acqua sotto i ponti ne è passata talmente tanta che vien da sorridere a pensarci. Oggi abbiamo forse più pudore a parlare dei nostri sentimenti che non della nostra vita sessuale e tutto sommato non è un cattivo segnale. Probabilmente al suo nascere la psicanalisi ha scandalizzato anche per il riferimento alla vita sognante e alla paradossale disciplina della libera-associazione. Sono rimasto profondamente colpito negli anni passati, dialogando con anziani e scoprendo di quale infinitamente maggiorre capacità di concentrazione fossero capaci. Noi al confronto siamo molto più immersi nei nostri desideri, nelle nostre fantasticherie…. Siamo molto più frammentati. E’ passata molta psicanalisi ed un po’ di psichedelia nella cultura di massa al punto che la libera associazione è diventata quasi la regola prevalente nelle nostre conversazioni. Anche facendo cultura. Diciamo quel che ci viene in mente e spesso abbiamo una notevole difficoltà ad ascoltare ciò che l’altro sta dicendo. Facciamo davvero fatica a seguire un filo logico. Forse solo i filosofi, che non a caso ci appaioni spesso cervellotici, sono in buona parte ancora legati ad una esigenza di concatenazione logica dei pensieri che, lo ripeto, nelle generazioni precedenti, era più facilmente la norma. Il riferimento alla sessualità e alla libera associazione non scandalizza più una cultura del nostro tempo che usa il riferimento alla sessualità come veicolo di penetrazione pubblicitaria. Analogamente, dire ciò che ci salta in mente ci appare un sacrosanto diritto acquisito. Certo si potrebbe obiettare che la sessualità non è proprio solo quello. Nemmeno […]