Il battesimo sul Giordano

Il battesimo sul Giordano

Dopo la fecondazione delle Notti Sante e il compimento dell’Epifania, il calendario cristiano suggerisce, nella prima domenica dopo l’Epifania, l’immagine del Battesimo sul Giordano.[message_box title=”Nota al testo”
[message_box color=”yellow”]Il presente scritto è stato prodotto e pubblicato per la circolare della scuola “Rudolf Steiner” di via Clericetti a Milano nel gennaio del 2006.

Curiosa biografia quella che possiamo reperire percorrendo le quattro corsie del racconto evangelico….

A nessuno verrebbe in mente di scrivere una biografia indicando le circostanze della nascita e saltando immediatamente (con la sola eccezione di poche, se pur pregnantissime, righe nel racconto di Luca) all’epoca dei trent’anni. Pare quasi un contro-altare della sensibilità contemporanea che attribuisce grande valore alla cosiddetta età evolutiva. Per rendere ragione di tale singolarità le culture spirituali di tutti i tempi si sono cimentate escogitando diverse congetture.

Mi piace pensare oggi che tutto sommato quei trent’anni sono giusto il tempo in cui, secondo le stime dell’ISTAT, i giovani nella nostra epoca restano a carico della famiglia nella percentuale del 75%! Ne siete informati, vero, cari genitori?!

Allora questi trent’anni corrispondono forse al tempo che un individuo impiega oggi per cercare di elaborare coscientemente i vincoli di parentela. Quello che Freud chiamava il “romanzo familiare”. Il tempo per diventare un po’ più compiutamente se stessi.

Forse la Cristianità viene a mostrarci le leggi di questo processo che non ci rende solo figli di qualcuno secondo la carne, ma… insieme e forse grazie al Cristo, figli dello Spirito, Unigeniti Figli del Padre, individui unici e irripetibili, ciascuno a suo modo. Ciò che volgarmente indichiamo appunto come “essere noi stessi”.

Ma, paradossalmente, se ne sono accorti in molti tra i filosofi e gli psicologi anche contemporanei, non si diviene se stessi da se stessi. In solitudine magari, ma non da soli.

Nessuno è se stesso senza che qualcun’altro lo riconosca.

Questa legge è forse talmente radicale che nemmeno il Cristo, il portatore del modello, dell’archetipo, della individualità nella cultura occidentale può sottrarsene.

Il Cristo comincia a diventare tale dal momento in cui Giovanni Battista lo riconosce nel battesimo sul Giordano. Gesù si avvicina al Battista che riceve il segno dal Cielo: la colomba bianca. Ma al di là di questo segno, occulto ma reso visibile, secondo il racconto di Luca,  questi due individui si conoscevano già per una forma di esperienza molto singolare.

Ricordate la visita che Maria compie ad Elisabetta (Luca 1, 39)? L’una portava Gesù in grembo, l’altra Giovanni. Precisa Luca:

“Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.”

Potremmo dire che i due si erano incontrati nell’oscurità della vita prenatale. Si sono fatti “ciao” dal ventre materno! La colomba non fa che sottolineare la cifra di questo precedente incontro segreto.

Preziosa la testimonianza ulteriore di Matteo (3, 13):

“In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli disse: “Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia”.


Allora Giovanni acconsentì.

Se anche il Cristo ha avuto bisogno di essere riconosciuto da Giovanni spero che ognuno di noi possa accettare di dover essere riconosciuto da qualcun altro. Possiamo accettare di non essere solo ciò che siamo convinti di essere (i migliori o i peggiori, secondo il versante maniacale o depressivo),  ma semplicemente ciò che gli altri, il nostro prossimo, riesce a  riconoscere in noi.

Lavoriamo in noi stessi e su noi stessi per questo. Forse ci incontriamo proprio per questo. Per riconoscerci. Io sarei anche più radicale: ci incontriamo per conoscerci.

Non siamo ciò che pensiamo di essere. Ci conosciamo realmente solo negli incontri che costituiscono il tessuto della nostra vita sociale. Abbiamo bisogno degli altri per conoscere noi stessi!

A suo modo, mi pare che anche il fondatore della nostra pedagogia pensi qualcosa di questo genere. Rudolf Steiner dopo la prima guerra mondiale sente l’esigenza di ripensare l’insegnamento fino allora prodigato alla luce delle nuove drammatiche condizioni sociali createsi. Le stesse condizioni apocalittiche in cui tuttora stiamo vivendo. Sente l’impulso a riconsiderare la vita dei sensi come fondamento di una nuova concretezza. Sappiamo che perviene ad una teoria dei sensi un po’ singolare. Una estensione dei sensi. Una visione molto allargata.

Non trova a fondamento dell’antropologia su cui costituisce la nostra pedagogia i cinque sensi concreti  che siamo abituati a pensare. Ne enumera la bellezza di dodici! Li potrete trovare tutti in una dispensa edita dalla nostra scuola che trascrive un seminario tenuto da Rober Gorter nel nostro teatro. Troverete non solo il tatto, la vista, l’olfatto, il gusto e l’udito. Troverete altri sensi più “sottili”: il senso dell’equilibrio, del movimento, della parola e vari altri.

Al culmine di questi viene posto il più cruciale: il Senso dell’Io. Un senso sottile ci permette di riconoscere non solo i suoni e i sapori ma quella cifra segreta che ci fa veramente individuali: l’Io. La cosa veramente geniale nell’elaborazione di Steiner  consiste nel fatto che, a suo dire, il senso dell’Io ci permetta di riconoscere l’Io dell’Altro. Si tratterebbe di un senso che non ci permette di autopercepirci. Come del resto l’occhio o l’orecchio non possono percepire sé stessi. Abbiamo bisogno dell’Altro perché la nostra individualità venga percepita.

Ci conosciamo attraverso l’immagine capovolta che si staglia nell’anima dell’Altro. E siamo tornati in riva al Giordano, in prossimità del primo memorabile Battesimo! Spero di essermi spiegato.

Forse l’ho fatta un po’ lunga, ma a me appare una acquisizione abissale che possa trasformare il senso della nostra vita. La mia amica Diana (che steineriana non è e non so nemmeno se si definisca cristiana) in questi giorni mi ha mandato all’inizio dell’anno una email che contiene una bellissima citazione. Mi pare che dica qualcosa di molto simile.

“Noi  esseri di dialogo , di condivisione e di dipendenza, quali siamo, viviamo della magia degli incontri, muoiamo della loro assenza. Ogni incontro ci reinventa all’istante. Per un mistero, impossibile da spiegare, sono precisamente tutti gl’incontri d’una vita che ci fanno a poco a poco accadere . Sono gli altri ad offrirmi- spesso a loro insaputa- la chiave del mio enigma In ogni incontro si rivela un aspetto del mio essere, un volto segreto nuota verso di me nell’acqua dello specchio. Gli incontri  fanno riemergere nella memoria un modo d’essere, una tonalità dimenticata. Essi mi cercano,mi trovano sotto le maschere. Spesso mi liberano.”
Christiane Singer

Grazie Diana, grazie Christiane!

Ah, dimenticavo, buon anno agli studenti, ai genitori, ai lavoratori-tutti della scuola!

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