I nanetti calzolai. Per il Te’ filosofico del 17 ott. 2010

Maison du Mekong

Con queste poche parole vorrei invitarvi al te’ filosofico di domenica prossima. Da due settimane ci manco. Una prima volta per turno di riposo, la seconda per malattia. Di questa mi dispiace particolarmente. Domenica scorsa è partito il secondo segmento del nostro percorso di navigazione. Quello che ci porta a chiederci cosa significhi abitare. Abitare un casa, una città, un pianeta. Per un verso ciascuno viene qui a Cargo per perfezionare il proprio abitare, la propria abitazione, per altro verso la domanda “che cosa significhi abitare” potrebbe trovarci imreparati. Forse non abbiamo nemmeno intenzione di porcele. Non è che se non ce lo chiediamo non continuiamo a “costruire la nostra casa” interiormente o esteriormente. Ciò che è umano ha questa ambiguità fondamentale. Possiamo fare un passo filosofico è chiederci perché, cos’è, come?

Possiamo continuare senza chiedercelo. L’intuizione di cosa ci serve per “sentirci a casa” lavora silenziosamente in noi. Depositata sul fondo. Inconsciamente, se siamo in vena di psicologismi. Altrimenti va bene lo stesso. Lavora di notte come i nanetti calzolai al desco del calzolaio addormentato.

Non so se ci sarò domenica. Lo vorrei molto. Altrimenti sarò il calzolaio addormentato. E la parte dei nanetti calzolai la faranno le amiche fidate. Le colleghe BBB e VV. Barbara Beonio Brocchieri e Viviana Paramithiotti. BB ha compilato con diligenza un sommario e lo ha pubblicato sul suo blog.

Per parte mia, se ci sarò, come spero, interrogherò! Eh, eh…. la grande arma degli insegnanti! Scherzo! Vorrei invece concludere con una riflessione che mi sta a cuore. Se, come mi auguro, sarò presente domenica, vorrei chiedere ai partecipanti di raccontarmi che cosa ricordino dei due precedenti incontri precedenti. Prova cruciale per tutti. Esperimento che ci mette a nudo e che verifica il senso del nostro cammino. Anni fa, quando insegnavo storia delle religioni al liceo, ero terrorizzato dall’idea che i ragazzi mi trascrivessero. Piuttosto passavo le notti a Lugano a trascrivere le mie lezioni per dargli io gli appunti. Quando ti raccontano gli altri non ti riconosci più. Eppure proprio questo è quello che ci serve. Rispecchiarci nello specchio del ricordo dell’altro. Ma che abbiam detto finora. Aiutatemi a riprendere il filo!

Che importano digressioni dotte se in noi non si deposita qualcosa? Se questo qualcosa non cristallizza una acquisizione. Probabilmente bisogna parlar molto oppure no…. l’importante è che il deposito, la composta che ci portiamo nella mente e nel cuore cristallizzi la forma di un semplice pensiero. Anche la forma di uno stupore muto dinnanzi a ciò che credevamo familiare. Ciò che non ritorna al suo posto come avremmo pensato.

In questa de-costruzione abita la freschezza del nostro pensare-abitare-nel-mondo. Ma che ci stiamo a fare anche qui? Al te’ filosofico, intendo! A proposito, ci siete? Vi aspetto eh, mi dovete raccontare! L’appuntamento, come sempre è alla sala da te’ Mekong, presso Cargo, Milano, via Meucci 39.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *