Mille libri, cento quaderni e i cuscini di meditazione che tendono a zero.

Per più di due anni sono rimasto in silenzio. Dal 22 aprile del 2020.

Ciò che trovate su questo blog in due pubblicazioni oltre quella data, è rielaborazione di materiali antecedenti. Ho usato il tempo del primo lockdown per riprenderli in mano.

Quanto potevo dire del diluvio della Pandemia e dello Tsunami sociale che ne è seguito, l’ho detto in quella data dell’aprile 2020 in una pagina intitolata eloquentemente:

Navigando nel vasto mare del Non-Sapere. (L’essenziale lo dicono i poeti)

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Non ho nulla da aggiungere a riguardo. È una pagina che io stesso giudico “illeggibile”, o leggibile solo da me. Ma sono lieto di averla scritta.

Là ho cercato di comporre il catalogo dei miei disorientamenti.
Ho concluso con due indicazioni, all’insegna de “L’essenziale lo dicono i poeti”.
Chiamavo in causa Mariangela Gualtieri e soprattutto Chandra Livia Candiani.
Sebbene a curiosa distanza (sembra quasi buffo non esserci più incontrati negli ultimi anni) seguo il percorso dell’opera poetica di Chandra divenuta una voce di primo piano nella poesia contemporanea. Ho visto sorgere una stella nella pelle di una compagna di sedute di meditazione. La seguo dalla metà degli anni Ottanta.

Quanto mi conforta sapere che mentre io componevo il mio rozzo catalogo di disorientamenti lei lavorava presumibilmente al suo nuovo “Questo immenso non sapere
Negli stessi mesi una mia collega analista filosofa, Francesca Pizzuti, pubblicava il suo “Non capisco
Insomma, mi sento in buona compagnia.
Non spenderei altre parole in proposito.

 

Ci siamo trovati, dopo questo Tsunami sociale, a inventariare danni ma anche nuove possibilità che questo ha portato.

Ho fatto il mio nuovo catalogo, i miei “conti della serva”. Vorrei condividerli ed eventualmente confrontarmi con voi, cari lettori!

Potrei abitare in una casa più piccola se non dovessi dare albergo alla mia biblioteca. Che, per quanto sfoltita negli ultimi anni trascorsi a Milano, ha una dimensione che mi appresto a indicarvi in modo algebrico. Non ho mai contato i miei libri. In questi casi, come dicono a Trieste, “Porta mal!
Una leggenda recita che per diverse settimane i pazienti e gli amici in visita da me uscivano con qualche borsa di libri.
Così ad esempio ho regalato le opere complete di Platone e quelle di Aristotele a una collega più giovane, ex-allieva laureata in filosofia e tutt’ora attiva a quello che fu il mio posto: insegnante liceale nella scuola steineriana!

È così bello lasciare andare…! Nella mia attuale condizione fisica faccio fatica a reggere con le mani un libro tascabile e spesso ci rinuncio a vantaggio del Kindle. Mi ci vedete sdraiato sul letto con uno di quei volumi della massa di un vocabolario? Quei grossi volumi con la sovra copertina arancio di cui si trova traccia a mala pena su Ebay!
E analogamente anche le “Opere” di Freud hanno preso la via del Libraccio in zona Navigli. Anche quelli erano libracci della massa di un vocabolario. Anche loro han trovato la giusta via!
Ne ho letta una parte considerevole prima dei trent’anni e sono stati altamente formativi. Ma, come giusto Platone indica bene nel “Simposio”, lo studio procede per le vie della dimenticanza. Lettura, studio, dimenticanza. Finché qualcosa subentra a riempire il vuoto della dimenticanza. Qualcosa deve subentrare per dare l’impressione che ciò che è perduto appaia ritrovato. È il processo creativo!
A modo mio ho fatto qualcosa di questo genere. Per questo le “Opere” di Freud hanno potuto prendere la via del Libraccio.

Ma malgrado tutto questo e molto altro, ho considerato che se posseggo, diciamo, mille libri, solo il dieci per cento di questi ha ricevuto l’attenzione che merita un libro. Un corpo, celeste o meno, della Galassia Gutenberg

Di questo dieci per cento, qualcuno mi ha cambiato la vita, altri li mantengo come significativi ma ne ho comunque una idea più precisa.
La lettura delle prime opere di Hillman ha segnato il mio stile professionale. La “Poetica dello spazio” di Bachelard avrebbe voluto cambiarmela ma non ci è riuscita.
Qualche lettura degli “Scritti” di Lacan mi ha influenzato profondamente ma non saprei come. Lacan, prima di Recalcati, era sublimemente incomprensibile….
Gioco e realtà” di Winnicot con i suoi “oggetti transizionali” non mi ha cambiato la vita ma lo conservo ed è arrivato giusto in questi mesi a chiamarmi per qualcosa che mi fa riflettere.
Pasternak e Dostoevskij, letti a quarant’anni, questi mi hanno cambiato la vita.
Come del racconto nel Mahabarata si potrebbe dire che chi lo ha ascoltato non è più lo stesso.

Il restante novanta per cento… è un vasto mare del non sapere che il mio desiderio però ha chiamato per nome. Il vasto mare del non-sapere è un oceano. Il novanta per cento dei libri non-letti è un piccolo lago.
Ma contiene tutto quanto mi ha chiamato per nome. Le miei aspirazioni, le mie velleità, la mia ingordigia. Un pizzico di maniacalità. Un mare di queste incompiutezze.

Questa sproporzione non mi scoraggia. Con l’angoscia ho imparato un po’ a saperci fare.

Quel che mi incuriosisce è poi un’altra categoria di oggetti che porto con me da anni. I quaderni.

Se albergo mille libri, faccio altrettanto con cento quaderni.
Raccolti in due cassettoni Ikea tipo quelli della biancheria in camera da letto.
In un cassettone ci sono cinquanta quaderni bianchi, nell’altro cinquanta già del tutto scritti (contengono dio sa cosa, e chi li legge?!) o comunque incominciati.
Per questa categoria di oggetti le proporzioni “vissute” sono dunque molto diverse. Dal dieci per cento dei libri, al cinquanta dei quaderni.

Infine c’è una curiosa categoria di oggetti molto significativi per me il cui numero tende quasi a zero. Quella dei cuscini di meditazione, che i praticanti Zen o Vipassana chiamano Zafu.
Guardando la mia biografia ho spesso riconosciuto come verso i quarant’anni il cuscino di meditazione abbia preso il posto e la funzione del divano dello psicanalista.
E mentre il divano psicanalitico non ha mantenuto le sue promesse, ho vissuto un matrimonio più che dignitoso con la psicanalisi. Ho festeggiato qui le mie Nozze d’oro.

Il cuscino di meditazione invece ha avuto un destino più felice.
Forse perché partiva da così lontano. Da un’epoca non sospetta: quando, ventenne, mi ritrovai paraplegico ricoverato nell’Unità spinale di Santa Corona a Pietra Ligure. Incontrai allora i primi fisioterapisti professionali. Quando arrivavo al mattino nella sala di fisioterapia non erano mai pronti, mi indicavano il tappeto e mi dicevano:

“Siediti lì a gambe incrociate che ti decontrai”.

E finivano la terapia con gli altri pazienti.

A quel tempo avevo una idea molto vaga di cosa potesse essere lo Yoga. Sul mio comodino c’era un libro intitolato “Raja Yoga” ma scoprii poi che dietro il nome di un presunto yogi indiano c’era la penna di un esoterista inglese.
Però a quel “mettiti seduto che ti decontrai” presto mi affezionai. Ripetevo il gesto sul letto, e da quella lontananza riconosco il primo apprendistato al compimento della postura del loto completo, che una decina di anni dopo ho conseguito.
Nel complesso, per contare i miei cuscini di meditazione bastano le dita di una mano.
Non più di cinque. Li ricordo uno a uno ma non voglio qui tediare il lettore.
Meno di cinque cuscini hanno segnato la mia biografia in modo più incisivo di mille libri e di cento quaderni.

Ecco perché i cuscini tendono a zero.
Ciò che si usa si consuma e non lascia resto.
Dopo diversi anni in cui non ne facevo uso, la postura acquisita non lo richiedeva più, mi bastava un piccolo spessore. Pochi giorni fa ne ho acquistato un altro.

I numeri parlano da soli e a me resta soltanto da evocare una paginetta che ho incontrato la prima volta quando avevo meno di trent’anni. Il libro non sono sicuro di averlo ancora tra i mille, ma questa affermazione mi ha “colpito e affondato” fin dalla prima lettura.

È nelle “Affermazioni scientifiche di guarigione” di Yogananda, pubblicate in quegli anni da Astrolabio-Ubaldini, almeno in quella edizione con orribile copertina di plastica blu.

L’affermazione recita, devo citarla a memoria:

 

“Se leggete per un’ora, scrivete per due e meditate per tre.
Chi voglia salvaguardare il proprio equilibrio mentale deve rispettare questa proporzione.”

 

Non mi resta che ringraziare il cuore della mia memoria per aver custodito questa paginetta letta prima dei trent’anni.

Mi offre l’occasione di provare qualcosa che non ho sperimentato spesso… quasi mai, nella mia biografia: sentirmi in pace con me stesso, e con il mare di Non-Sapere in cui viviamo immersi!

8 pensieri su “Mille libri, cento quaderni e i cuscini di meditazione che tendono a zero.

  1. Questi anni hanno segnato molti le nostre vite e hanno influito su di noi a lasciare ciò che non era di principale importanza. Maestro, felice di averti conosciuto. Angelo

  2. Caro Francesco, io la descrizione minuziosa di tutti i tuoi zafu (anche mitobiografica se vuoi) la leggerei volentierissimo, volevo dirtelo, non mi tedieresti! A presto e grazie, Alessandra

    1. Cara Alessandra, grazie del tuo gratificante interesse!
      Nelle balere una volta si diceva (ma si dice ancora oggi): “Su gentile richiesta…”
      E su gentile richiesta sia!
      Ti offro un cammeo del mio primo cuscino.
      Era un cuscino quadrato di circa 60 cm. Un oggetto che poteva venire dai dintorni di Fiorucci o Fulgenzi… ma per una persona giovane come te questi marchi non dicono molto.
      Botteghe di oggetti non convenzionali. Con un profumo-fumo di Londra. Molto colorati a tinte squillanti.Il quadrato era suddiviso in quattro altri quadrati con fondo diversamente colorato e al centro una grossa lettera dell’alfabeto.
      Nulla a che vedere con la meditazione ma io lo adottai come primo cuscino di meditazione. Col passare degli anni poi lo feci ricoprire con un tessuto nei dintorni della prima Ikea e costituì la base per il primo zafu vero e proprio ricoperto di tela nera.
      Come dire: una base frikkettona e l’adozione di un cuscino regolamentare per la seria meditazione!
      Un ultimo particolare significativo… te lo sei voluto tu, chiedendomi di risvolti mito-biografici…!
      Quel primo cuscino mi fu recapitato da una mia fidanzata, sedotta e abbandonata, mentre lavoravo come DJ allo Sporting di Milano 2. Che cos’era? Era il primo esperimento urbanistico di Silvio Berlusconi prima diventasse presidente del Milan e scendesse in politica. Come dicono oggi i ragazzi:Tanta roba!
      Lavorai per pochi mesi e fui cortesemente licenziato. Ero eccellente per la musica da cena ma sulla disco-music ero una frana. Non ne sapevo nulla!
      Così la sera che mi licenziarono il proprietario mi chiamò sul palco, mi fece portare la mia chitarra che avevo sempre nel baule della macchina e mi chiese di cantare e suonare qualcosa. Ricordo che proposi Tenco e De Andrè e feci la mia porca figura!
      Il proprietario applaudì il DJ che aveva appena licenziato esclamando: Bravo etc etc non riferisco per pudore ma mi andava bene di essere licenziato come DJ. Ora pensavo ai ritiri di meditazione. Ma il DJ abita ancora in un appartamento presso di me e tu ne sai qualcosa!

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