Il mio gioco preferito

Per introdurre il teatro del mio primo gioco infantile, vi devo portare sul piano del mio seggiolone a un’età tra i due e i tre anni, nei primi anni Cinquanta a Milano. Non mangiavo volentieri e il banco del seggiolone diventava il teatro per vari giochi e distrazioni grazie ai quali, Dio sa come, riuscivano a farmi mangiare qualcosa.

Così il banco diventava un’officina in cui si smontavano caffettiere elettriche che non ho mai visto funzionare. Devo averle smontate per bene!

Il piano del seggiolone è stato anche il teatro del gioco più glorioso. Quello che ricordo più volentieri.

Sul banco era posato un cucchiaino. Io ne avevo uno d’argento, e anche un bicchierino d’altrettanto argento. Ero pur sempre il figlio di un dottore!

Avevo scoperto che esercitando una leggera pressione del dito sulla parte concava del cucchiaino il braccio si alzava e poteva essere guidato dalla pressione e dai movimenti del dito. E qui si innesta la mia esclamazione gloriosa:

“La gru! Ho fatto la gru!!”

Questi video possono aiutare a comprendere.

Questa la prima intuizione, che ho chiesto a Natasha di esemplificare. Le mani sono le sue, il cucchiaino invece è lo stesso di allora!

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Alla prima intuizione si applica questa dinamica più articolata che per il bambino, come vedremo, era intuitiva ma che ho cercato di esemplificare così

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Per spiegare tutto questo devo dire che sono cresciuto nei primi anni 50 in zona Navigli a Milano. Di fronte alla darsena di Porta Ticinese c’erano le gru che prendevano la sabbia dai barconi provenienti dal Ticino e la versavano nel cassone dei camion che venivano ad acquistarla per uso edilizio. Erano anni in cui si ricostruiva quanto la guerra aveva distrutto. E questa immagine è emblematica di quanto il bambino aveva sotto gli occhi quotidianamente.

Pertanto il bambino inappetente aveva trovato il modo di studiare i movimenti delle gru in riva alla Darsena e di governarli con la pressione di un dito sul cucchiaino posato sul banco del seggiolone.

L’esclamazione gioiosa e gloriosa “Ho fatto la gru!” ha quindi tutto il suo spessore.

Avevo scoperto il valore e la potenza dell’Analogia. Una divina Simmetria legava il mio cucchiaino alle gru in riva alla Darsena!

Fin qui si era spinta finora l’analisi biografica dei ricordi infantili nell’anima di un ultra-settantenne.

Nelle ore impegnate a stendere queste note mi sono scoperto a chiedermi con intelligenza adulta: ma perché quei camion venivano a comprare la sabbia trasportata dal Ticino sui barconi, traslata nei cassonetti da quelle gru fino ai cassoni dei camion?

Lì per lì ho riconosciuto che non avevo una risposta chiara. Così mi sono documentato e ho capito che la sabbia veniva mescolata al cemento. Mescolata al cemento, la sabbia diventava materia prima per nuove costruzioni.

Ho trovato avvincente inseguire le tracce, nello sviluppo della civiltà umana di malta, calce e cemento. Lo mostra bene questa pagina davvero interessante.

Ma qui mi preme solo considerare che quella sabbia del Ticino sarebbe diventata, aggregata dal cemento e innaffiata d’acqua, la sostanza con cui si stava ricostruendo Milano dopo i bombardamenti del 1943.

Erano anni di scambi di materiali pesanti. Le macerie venivano rimosse e nuove masse di cemento fiorivano in nuove costruzioni. Il commercio della sabbia aveva come punto di riferimento la Darsena di Porta Ticinese. Una sorta di lago alimentato dall’acqua del Ticino che proveniva dal Naviglio Grande e vi tornava dal Naviglio Pavese. Anche in questo caso percorrere la costruzione di questi canali d’acqua (ci ha messo mano anche Leonardo da Vinci!) ha lo stesso fascino che ho appena evocato indicando la storia del cemento e della calce.

Una leggenda metropolitana (ma più che verosimile) narra che le “Montagnette di San Siro” nascano dallo scarico dei detriti delle macerie provocate dai bombardamenti del ‘43. Ne trovo conferma qui.

 

E con questo entriamo nella storia che il bambino ignorava. Ne apprenderà qualcosa progressivamente dai racconti della madre e dallo studio della storia.

 

Ma di tanta distruzione il bambino di 2/3 anni sul seggiolone non sapeva nulla.

Mi limito a questo frammento, forse il più forte e suggestivo. Mia madre abitava sul Naviglio Grande. Come molti milanesi, era sfollata sul lago di Como ma si recava al lavoro ogni mattina a Milano prendendo i treni delle Ferrovie Nord. In seguito al bombardamento di un treno si mise in salvo scavalcando i corpi di morti e feriti che rimanevano sui vagoni.

Potrà giovare guardare queste immagini.

Le propongo per i più giovani che non dispongono di questa memoria, nel momento in cui lo spettro della guerra si proietta sull’Europa…

Per chi voglia farsi una idea, soprattutto una immagine di quanto sopra raccomando la visita di questo sito di cui non riesco a presentarvi una anteprima. La trovate cliccando qui.

https://pinacotecabrera.org/brera-stories/il-terrore-viene-dal-cielo/

Mi piace mettere in evidenza le parole di un artista che ho avuto la fortuna di conoscere in seguito e di cui amo e custodisco come preziose diverse opere:

Nell’anno 1943 avevo 12 anni, studiavo a Lodi presso il Collegio dei Barnabiti. Ricordo i bombardamenti che avvenivano a Milano. Dal terrazzo di un’alta costruzione vedevo grandi, impressionanti semicerchi, infuocati. Il 7 agosto ero sfollato in una cascina del cremonese e lì giungeva attutita l’eco della guerra: per un ragazzo come me in un certo senso era un vantaggio essere al riparo dal terribile scenario che incendiava Milano. Ero al corrente di quel che accadeva in città – la memoria di quei giorni terribili si sarebbe arricchita nel tempo con le immagini dell’epoca. […]

Enrico Della Torre, pittore (nato 1931)

Queste le figure della distruzione.

Le immagini in cui il bambino scopre la gru ci parlano di una ricostruzione dopo una distruzione di cui non sapeva niente.

Era quello che il bambino ignaro sul seggiolone aveva sotto gli occhi.

Distruzione e ricostruzione!

Vorrei tirare una conclusione con la quale spero di offrire un sorriso al paziente lettore che mi ha seguito fin qui. E lo faccio, come mio costume, non senza un pizzico di ironia e una punta di humor….

Potremmo pensare a una lapide commemorativa per le figure degli architetti che hanno ricostruito Milano in quegli anni. Vi figurerebbero di sicuro Giò Ponti, i fratelli Pomodoro e gli imprenditori e le maestranze e giù fino ai più umili muratori. Questi erano tutti bergamaschi a Milano in quegli anni, prima che subentrassero gli stranieri.

E in fondo a questa lunga lista all’ultimo posto collocherei il bambino di 2/3 anni di cui vi ho parlato. Il bambino che faceva la sua parte studiando il meccanismo della gru….

PS   Chi mi conosce, personalmente o attraverso la frequentazione dei miei scritti, sono sicuro immagini quanto lavoro di “scavo interiore” queste mie pagine abbiano comportato.

Compiuto questo primo lavoro con la conclusione di cui sopra, recandomi domenica scorsa a Messa ho trovato un’altra conclusione inattesa che trovo decisamente più radicale e convincente.

Non sono andato a cercarla… Mi è venuta incontro, dato che nel rito ambrosiano veniva proposta questa lettura dal Vangelo di Matteo:

Matteo 18, 1-10 Lettura del Vangelo secondo Matteo

“(…) Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. (…)”

Non ho altro da aggiungere!

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