Nozze d’oro

 

5o anni di psicanalisi
e la mia vita va sempre peggio!

 

Lasciatemi tessere l’elogio di un fallimento

Mi sono reso conto che sono trascorsi 50 anni dal mio primo ingresso in una stanza d’analisi

Permettetemi di brindare per queste nozze d’oro!

 

I miei matrimoni

 

Quanto a matrimoni con fedi, idee, sistemi di pensiero  ho già dichiarato il mio status di single.

Nel frattempo la mia esistenza civile ha visto succedersi ben tre matrimoni. Mi viene in mente il terzo parto, il terzo figlio che libera Sharazade all’alba della 1002° notte.

Quindi la durata del matrimonio immaginario con la psicanalisi supera quelli succitati e reali.
Sono stato più fedele, pur sempre a modo mio, alle mie nozze  con la Psicanalisi.
Non c’è che dire. A volte l’immaginazione aiuta.
Lasciatemi quindi brindare a queste nozze d’oro con la Psicanalisi.

 

Durata e consistenza dei matrimoni

 

Il matrimonio con la Psicanalisi non è stato un matrimonio d’amore.

Ma ha superato il traguardo aureo di 50 anni

Non è detto che questi matrimoni siano i peggiori

 

Matrimonio combinato

 

Matrimonio combinato e paradossale. In seguito ad una messa in scena di T.S. (tentato suicidio).
Mio padre, medico radiologo, su consiglio degli psichiatri, mi affidò alle cure di una psicanalista. Non avevo ancora compiuto 16 anni.

Ma il padre che mi ha mandato in analisi non credeva alla psicanalisi

Così né lui, né la psicanalista sono riusciti a convincermi del valore di questa esperienza.

 

Un fatto virale

 

Ma tutto questo è secondario. La psicanalisi non vince perché con-vinca.

La psicanalisi si insedia nell’organismo. Imperversa nella mente e nel cuore come un virus.

Ai miei silenzi, al mio imbarazzo e al mio pudore, la mia psicanalista somministrava ripetutamente iniezioni della stessa domanda:

“A cosa stai pensando?”

Come uno scalpello.
Fosse stata ben indirizzata sarebbe risultata una buona agopuntura.

Invece è risultata un gioco che nel tempo è diventato virale. Altro che terapeutico. Da una auspicabile agopuntura siamo pervenuti alla psicanalisi come una sorta di antibiotico per curare l’infezione della socialità.
Quel lazzaretto in cui ci troviamo un po’ tutti.

 

La domanda di FaceBook

 

Ogni giorno ritroviamo la stessa domanda sul diario del nostro profilo: 

“A cosa stai pensando?”

Ne ha fatta di strada quel virus, come in altro modo ho già provato ad indicare ne  “Lo schiaffo sella realtà
Giuro che oggi mi appare una domanda oscena. O almeno una domanda scema!

 

Oscenità

 

Ma questo non invalida nulla. Dalle sue origini la psicanalisi frequenta i territori dell’osceno. E lo fa con buone ragioni.

Osceno mi appare anche quel “Conosci te stesso” su cui ci siamo addormentati da due millenni.
Oscena la nuova versione che circola tra noi “Qual’è il tuo mito?”.
Come se occorresse ricorrere a un mito per sopportare lo schiaffo della realtà.

Ma la psicanalisi, lo sappiamo bene, è fatta così e non sarò certo io a cambiarla o migliorarla.

 

Valore terapeutico della psicanalisi

 

Ciò che rende ancor più paradossale la celebrazione di queste nozze d’oro è il fatto che queste nozze si siano costituite su una promessa non mantenuta.
Ma lo sappiamo, i matrimoni combinati funzionano anche così e non è detto che siano i peggiori. 

 

Melodie dell’evidenza

 

Dalla prima psicanalista sono giunto, a sedici anni non ancora compiuti,  dopo un tentativo di suicidio di quelli di cui si sorride (i barbiturici di mio padre erano a portata di mano).

Ho provato a sorridere anche quando sono stato travolto da una nuova tempesta suicidale. Dopo tre anni di analisi, terminata col consenso dell’analista.

Del secondo mi è più difficile sorridere.
Da questo rinasco.

Ma rinasco invalido.
La mia biografia, che ho iniziato a scrivere come un romanzo, inizia qui.
I primi vent’anni appariranno in forma di sogno. Flash back! 

Per oltre  40 anni ho cercato di portar gli esiti della mia invalidità con dignità e con quella eleganza che mi è stata possibile.
Oggi c’è poco da ridere.
E non so più se io sia nato sano e diventato invalido o se io sia nato invalido.
Qualcuno che abbia una buona vista potrebbe dire: anche nei primi vent’anni…  come si dice…  “inciampavi nelle tue gambe”.
Per ballare il twist come Celentano mi ero slogato un ginocchio. Ingessato due volte. La seconda perché continuavo a ballare anche con l’ingessatura. Al liceo avevo l’insufficienza anche in ginnastica!
Si capiva subito che non sapevo dove mettere i piedi o che non guardavo abbastanza.
E l’invalidità può essere stata un atto di giustizia. Giustizia crudele ma comunque giustizia.
Mi sento più spartano che ateniese. Noi gli storpi li buttiamo dalla rupe Tarpea.
Forse ero storpio fin dall’inizio e, vivendo in una città ateniese, nessuno mi ha buttato.
Così mi sono buttato da solo.

 

Ma allora la psicanalisi non mi aveva guarito…?!

Anche uno scemo se ne sarebbe accorto subito!

Ma io scemo non sono.

 

Sono stato “furbo” e ci ho messo 20 anni ad accorgermi che quella domanda, “a-che-cosa-stai-pensando”, non mi aveva portato lontano!

Come io abbia fatto a decidere di fare l’analista all’età di 30 anni senza rendermi conto di quanto poco la psicanalisi mi avesse aiutato è uno di quei misteri in cui mi è difficile penetrare.
L’essere umano ha prodigiose facoltà di “vedere”. Ma altrettante, di segno contrario, di “non-vedere”.
La forza della disperazione ci fa attaccare ad ogni brandello di qualcosa che luccica e la psicanalisi lacaniana, in quegli anni, luccicava ancor più di quanto possa farlo oggi. Malgrado l’ottima lucidatura operata da Massimo Recalcati. Noi eravamo molto più buffi. E maldestri.

Questa consapevolezza ha comunque messo in moto il percorso dal divano dell’analista al cuscino di meditazione. Dalla stanza d’analisi alla stanza di meditazione.

E’ così che il virus aveva lavorato. Aveva infettato la ferita.
Quella che la psicanalisi avrebbe dovuto curare.

 

Infezione e Ferita

 

Ho capito allora che con  quella infezione dovevo convivere come oggi convivono tutti. La psicanalisi ha infettato tutta la nostra cultura. Ne viviamo la pestilenza.

L’unica cosa che mi fa bene è restare fedele alla mia ferita. A volte il rimedio è peggiore della malattia. 

 

Fedele alla mia ferita perché era ed è la cosa più intima e preziosa che io possa custodire.

 

Non è detto che vi voglia dire a cosa sto pensando.
E il dialogo da sempre rischia di apparirmi un interrogatorio.
E dall’interrogatorio, al tormento, alla tortura, il passo può essere breve.
C’è chi con le domande ci sa fare anche troppo bene.
Certi filosofi… Dio me ne scampi!
Ma Dio è morto e la patata bollente arriva a me.
Per fortuna mi capita spesso di non avere domande.
Cerco di ascoltare. Se ci riesco.
Altrimenti preferisco provare ad occuparmi dei pensieri miei.

 

Senza domanda
Senza ricompensa

 

Non voglio rispondere alla domanda a cosa stai pensando ma….
nel mio blog l’ho raccontato a tutti per più di un settennio.
Perché nessuno me lo ha mai chiesto.

Che l’abbia  fatto per amore?
Lo avevate capito vero?

Questa mi appare la Compassione che mi merito.
La meritiamo tutti.
Basta arrivare al punto di chiederla.

 

 

2 pensieri su “Nozze d’oro

  1. brindo a queste nozze d’oro vissute e narrate con la necessaria ironia che guarda compassionevole e arguta al contempo la nostra fatica a vivere

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