Nel mese di giugno mi sono addormentato alla presenza degli ospiti, l’ho già raccontato qui.
E come tutti ho sognato, sono stato in “vacanza”. In istato vacante c’erano tutti. Vacanzieri o meno.
Vacare, vagare, significa vivere fuori dimora.
E non solo per la villeggiatura.
Il corpo è pure la dimora di tutti.
Pensiamo la testa come la dimora del corpo. Il nostro tempio.
Antiche sapienzialità descrivono la pancia come dimora del tempio del corpo.
Gli uomini pensavano con la pancia. E in parte lo facciamo ancora.
Ma nel solstizio d’estate, come indica Rudolf Steiner, ci si perde, si esce dalla propria testa, si è letteralmente “fuori di testa” e ci si precipita nel ventre del cielo.
Fuori di testa, precipitati nel grembo del cielo, verso le costellazioni più lontane.
Lontano quanto può spingersi lo sguardo alla luce del sole, nel tempo del sol-leone.
In quel tripudio di luce.
Ci si può sentire persi e confusi.
Per questo le tradizioni più diverse hanno forgiato la festa dei fuochi e delle lanterne accese qui in terra. Se preferiamo una versione meno “esoterica” è più che sufficiente (ed ineccepibile) il “Calendario” di Cattabiani.
Secondo Steiner, le luci, i fuochi di san Giovanni, sono una sorta di SOS, lanciato verso le lontananze da cui speriamo di essere visti. Speriamo di non essere dimenticati ed abbandonati qui sulla terra. Attendiamo che qualcuno ci veda ed abbia pietà di noi, che vaghiamo, persi. Fuori dimora. In vacanza, un po’ fuori di testa. Come giusto in questo momento così singolare della qualità del tempo.
Shakespeare, Ibsen, ma tutte le tradizioni europee hanno espresso molto bene questa condizione. Quell’ansia, quella smania, quella confusione di ruoli…
Il giorno più lungo. Quello in cui, nell’Europa del nord, il sole non tramonta mai. La luce diventa incubo.
E così accendiamo i fuochi di San Giovanni. Accendiamo le nostre lanterne.
A Milano, in quei giorni, qualcuno ha proposto di ritrovarsi ad accendere le lanterne. Come nelle feste dell’Asia buddhista.
Unione Buddhista Italiana e il monastero Zen “Il cerchio” hanno proposto in riva alla Darsena di Porta Ticinese la festa delle lanterne.
Prima di parlarne devo indicare due cose che mi stanno a cuore.
La prima riguarda la Darsena, l’altra l’UBI.
Per la prima mi limito ad indicarne la portata. Le dedicherò almeno un’altra pagina in futuro. La Darsena è stata il teatro della mia esistenza tra i 10 e i 20. Ho abitato in viale Gorizia e, come tutti i milanesi, ho sofferto negli ultimi 10 anni, forse più, la privazione dell’accesso a questo luogo.
Ma in fondo la memoria, la camera del cuore, serve proprio per questo e il sacrificio l’ho fatto volentieri.
Ora non mi sono ancora fatto una idea precisa del fantomatico Expo, ma posso dire che in questa occasione mi è stato reso l’accesso alla Darsena.
L’altra cosa che devo dichiarare preliminarmente riguarda l’Unione Buddhista.
A ben pensarci, anche se non vedo la necessità di dichiarare l’adesione a qualunque confessione religiosa, per me e per altri, nella seconda metà degli anni Ottanta ho avuto a che fare con la fondazione dell’allora nascente UBI.
Addirittura una o più riunioni avvenne nel mio studio.
Ho un ricordo indelebile dell’opera del suo animatore: Vincenzo Piga, che nel frattempo ha passato la soglia. C’erano anche Flavio Pelliconi e Fabio Zagato.
Rappresentavamo i tre gruppi più attivi in quegli anni nell’esercizio della meditazione Vipassana.
Vincenzo non era uomo facile. Una carriera come sindacalista e una prepotente vocazione buddhista che, combinati insieme, lo portarono ad avanzare l’istanza di creare una coscienza complessiva del Buddhismo in Italia, pur nel rispetto delle diverse tradizioni.
Gli stava a cuore istituire una festività condivisa in occasione del Vesak, la festa dell’Illuminazione del Buddha.
Io ero perplesso. Ricordo che gli rivolsi una esigenza confusa ma nella quale tutt’ora mi riconosco. Gli dissi che il nostro avrebbe dovuto essere quello di alleggerire le forme, non di crearne di nuove.
Creare una nuova festa? Ma io sentivo più l’impulso a de-costruire, ad alleggerire, semplificare la vita, lasciare andare qualcosa. Un’altra festività no!
Abbandonai il gruppo e nel frattempo il suo proposito si è felicemente compiuto.
A lui il merito, a me la permanenza nel dubbio.
Nel frattempo il Dharma continua a dimorare nella mente e nel cuore. Ma continuo a non vedere la necessità di alcuna professione confessionale, festa o celebrazione.
Dopo tanti anni l’unica iniziativa che ha riscosso il mio interesse, che mi abbia strappato un sorriso, per la quale abbia nutrito qualche curiosità sono le performances che, il fondatore del Circolo Zen “Il cerchio” ha proposto all’insegna #urbanzen.
Provate a dare una occhiata. Ne trovate diverse varianti su YouTube.
Io ho scelto questa:
[youtube height=”HEIGHT” width=”WIDTH”]https://www.youtube.com/watch?v=9Y0Hf0_YchE[/youtube]Personalmente non conosco né questo maestro né ho mai visitato questo centro. Non progetto di farlo, non ne sento il bisogno.
Ma sento il bisogno di dire che tutto questo mi appare significativo e sensato.
Questo è nella direzione di ciò che una ventina d’anni fa cercavo di indicare a Vincenzo Piga e agli amici dell’UBI.
Ovviamente allora non sapevo nemmeno io come spiegarlo.
Ma, talvolta, il tempo lavora a favore e chi propone l’insegna #urbanzen ha tutta la mia simpatia e tutta la mia complicità.
Può darsi che, in modo meno strutturato, nel mio piccolo, nei miei vistosi limiti, lo stia da tempo facendo anch’io. D’altro canto non sono un maestro e non vedo necessità idi parlarne, mostrare o fare pubblicità.
Tutto questo per dire che all’appuntamento della festa delle lanterna, di fronte alla casa in cui ho vissuto la mia adolescenza sono intervenuto con entusiasmo.
E come tutti sono rimasto deluso.
Probabilmente ero a poche decine di metri dalla postazione centrale ma non ero in grado di vedere quasi nulla.
Se guardiamo complessivamente le reazioni della stampa notiamo facilmente che le riflessioni più pacate assumono l’atteggiamento che sto per indicare. In altre prevale una svalutazione.
Che cosa è avvenuto?
Come dichiarato dagli organizzatori e riportato dalla stampa più riflessiva, ci si aspettava un afflusso relativamente modesto e l’organizzazione si è mossa di conseguenza.
Si pensava a numeri dell’ordine di poche centinaia al massimo, ne sono arrivare diverse decine di migliaia.
C’è stato il tam-tam del social network… Ma chi lavora all’organizzazione di eventi culturali sa che invitare un centinaio di persone serve a farne arrivare una.
Qui sembra che le proporzione si sia invertita. E moltiplicata in modo esponenziale!
Vale la pena di rifletterci.
Viviamo in una società in cui si costruiscono prodotti, proposte, servizi ben congegnati e perfettamente realizzati per rispondere a esigenze che, in qualche caso, non sono riconosciute tali dagli utenti a cui sono proposte.
Articoli perfetti e invenduti. Andranno nei saldi o chissà dove.
La festa delle lanterne invece è stata una esigenza, istintivamente riconosciuta da così tante persone, mentre la risposta non era stata confezionata, almeno per quanto riguarda forma e proporzione.
Meno male che ancora una volta la realtà ci sorprende e non solo nella direzione del museo degli orrori.
Mi sembra una bellissima notizia!
Ora ci riproveranno, gli amici de “Il cerchio” e sicuramente molti altri.
Ma per una volta abbiamo virtuosamente invertito una tendenza perversa.
Anch’io non ho visto niente ma di queste cose, in un certo senso, non c’è niente da vedere.
Forse per questo le performances di #urbanzen, nella loro paradossalità, mi appaiono così significative.
Grazie di cuore a i migliori auguri a chi sta lavorando in quella direzione!
2 pensieri su “#Urbanzen e la festa delle lanterne. Una meditazione fuori di testa”
posso dire che i milanesi non rinunciano mai ad assistere e partecipare a quanto di nuovo la città propone, specie se si tratta di locali, divertimenti e simil cose.
questa era la prima volta che si svolgeva uno spettacolo, magari già visto in altri siti (esempio festa dei lumini, ultima domenica di luglio a Cannero, lago maggiore) a milano e per giunta nella darsena appena rifatta, che già il giorno dell’inaugurazione non si riusciva a camminare… sono stati insipienti e imprevidenti e comunque non sono riusciti neanche a metterne in acqua a sufficienza e non hanno saputo valutare le correnti
Certo Silvia!
Cercheremo di fare di meglio.
In questo “cercheremo” mi ci metto anch’io!
Finora han fatto loro!
E’ comunque un dono e a caval donato….
Grazie della tua attenzione!