Psicologia del lavoro (2)

Psicologia del lavoro (2)
Riprendo la riflessione su una possibile psicologia del lavoro raccontandovi qualcosa che nell’esercizio della mia professione mi ha fattto riflettere.
Nei giorni precedenti il primo di maggio sono stato colpito da una curiosa sincronicità.
Ho svolto il colloquio, in uno stesso giorno con due persone che testimoniavano due esperienze parallele e analoghe.
Nel primo caso si tratta di un uomo che, come molti oggi, ha vissuto profonde preoccupazioni per il mantenimento del suo posto di lavoro.
Per testimoniare questo ho il ricordo indelebile di un altro colloquio, avvenuto pochi mesi fa, in cui questa stessa persona non riusciva a sedersi sulla poltrona. Passeggiava nervosamente nella stanza per l’agitazione. Teneva nelle mani una lettera che annunciava la fusione della società, per cui aveva lavorato per anni, con un’altra società, ovviamente multinazionale e di maggior influenza, che facilmente avrebbe comportato, se non direttamente un licenziamento, sicuramente una condizione lavorativa di maggior disagio e marginalità in ogni senso.
Ma ricordo anche il primo colloquio con questa persona. È questo che mi ha motivato a tenere sempre una certa linea nell’ascoltarlo e aiutarlo.
Nel primo colloquio quest’uomo non fece che parlarmi del suo lavoro, delle sue esperienze e competenze.
Dovetti suggerirgli io la parola amore per il lavoro.
Non svolgeva un lavoro che a molti facilmente appaia “eroico”. Si occupava di un certo ramo di marketing.
Era sbalorditivo per me sentirlo parlare. Passò l’ora e mi aveva parlato quasi solo di questo. Non dei suoi sentimenti privati, dei suoi ricordi familiari o della sua situazione sentimentale.
Se ne parlò ampiamente in seguito, ma a me rimase impresso quel primo colloquio.
Certo scartai subito l’idea banale (che forse altri avrebbero accolto) che stesse nascondendomi qualcosa. Sentivo che non era così.

Nell’ultimo colloquio invece c’è stata sempre una esultanza e c’era sempre una lettera tra le sue mani, ma tutto aveva un sapore diverso.
Si trattava di una lettera su carta intestata della multinazionale che riconosceva con stupore la qualità del suo lavoro.
Ne emergeva una considerazione non solo inerente al lavoro da lui svolto, ma della considerazione della precedente società minore che era stata integrata.

Naturalmente una rondine non fa primavera e non sono certo tanto sprovveduto o ingenuo da usare questo episodio senza vedere la dolorosissima realtà sociale che fa da sfondo a tutto questo.
Non posso però impedirmi di pensare di non aver sbagliato esortando questa persona a non aver paura della crisi che indubbiamente ha dovuto affrontare e sta ancora affrontando. Lo esortai a confidare sul fatto che l’amore per il lavoro, quell’amore che non può che generare competenza, è un bene prezioso di cui credo che nessuna azienda possa fare a meno.
Ho sentito anche Saviano parlare della crisi come una occasione per chi voglia affermare la propria creatività non sempre in sintonia con la direzione trainante.
Nella prossima paginetta vi racconterò di un secondo colloquio avvenuto lo stesso giorno. Si tratterà questa volta di una donna.

3 pensieri su “Psicologia del lavoro (2)

  1. Sarebbe  bello se fosse cosi "Lo esortai a confidare sul fatto che l’amore per il lavoro, quell’amore che non può che generare competenza, è un bene prezioso di cui credo che nessuna azienda possa fare a meno." ma temo che ormai da tempo le aziende amano l'utile idiota e il profitto certo a loro discapito ma non lo comprendono…comunque amare ciò che si fa' resta pur sempre un atteggiamento imprescindibile per rimanere sè stessi e non conformarsi al volere della società,  nel mio lavoro avrei mille ragioni per cucinare minestre amare come le ortiche, ma davanti al mio calderone magico mentre assaporo profumi di  aromi di antichi , mi dico che nessuno mai piegarà la mia passione e l'amore per quello che faccio,le mie minestre e zuppe sono sempre state ricambiate da sorrisi e complimenti dai clienti e questo basta, li rende sereni e questa è la grande magia.

    Ciao

    1. Cara Carola
      come vedi riesco ad arrancare dietro alle cose con grande ritardo…. Troppo amore per il lavoro? Mah…. forse un’altro capitolo di questa riflessione andrebbe dedicato all’elogio dell’ozio. Adiacente, se si vuole, al “Quaderno d’accidia” (http://http://francescopazienza.it/quaderno-daccidia/) ma forse ancora diverso. Più gioioso!
      Amore per il lavoro ma impossibilità a comprimere spazi d’ozio senza i quali la vita mi apparirebbe invivibile!
      Due osservazioni vorrei fare alla tua riflessione.
      La prima riafferma con convinzione quanto ho scritto e credo.
      In ultima analisi anche se l’impresa tende a privilegiare i tagli di spesa e le attività più redditizie, in realtà io credo che un imprenditore preferisca una cuoca che faccia sorridere i clienti che così tornano volentieri.
      Probabilmente le persone che SANNO e che VOGLIONO fare, che AMANO-FARE sono e resteranno sempre indispensabili.
      Si, potrebbe essere che ad occupare altri posti… a scaldare altre sedie…. ma…. chi AMA non deve temere niente! Ama e fa’ ciò vuoi!
      Io non ho grandi fedi di tipo ideologico ma a questo credo fermamente.

      Infine trovo davvero toccante l’immagine che hai offerto delle tue zuppe…
      C’è però una cosa curiosa…. ed è il punto in cui spero di poter allegramente capovolgere la tua sfiducia…
      Parli in negativo di minestre amare come le ortiche…. mah…. devo dirti che un mio amico (una persona “alternativa” e “montanara”, una trentina d’anni fa) mi fece gustare, tra la meraviglia di tutti, delle indimenticabili zuppe di orzo e ortiche!
      Ho avuto la fantasia che davanti ad un grande calderone (forse alchemico) tu ci possa preparare una di queste zuppe! Sarebbe il primo momento sociale a cui possano sedere allegramente tutti i lettori di questo sito.
      Grazie di cuore della tua offerta!
      Lettori, a tavola!

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