La musica come terapia del dolore (UNO)

Sto emergendo da anni davvero difficili con una pandemia che ci ha trasformato tutti.

Chi vi scrive è quindi questo nuovo soggetto post-pandemico.

Questa pagina UNO è la prosecuzione della ZERO che trovate qui

Istruzioni per l’uso di questa paginetta: le frasi in blu indicano un link. Quelle in rosso invece sono mie sottolineature che aiutino a riprendere il filo tra tante digressioni.

Finora nel blog ci sono più di 250 pubblicazioni. di “temini”, “tesine” (ora li chiamano posts) di composizioni di scrittura creativa (io le chiamo semplicemento PAGINETTE) che descrivono quel che è capitato a me. Le uniche cose di cui posso avere una certa competenza. Un lavoro che ciascuno può fare solo da Sé e solo con Sé stesso. Il compimento dell’oscena esortazione: CONOSCI TE STESSO! Io la vivo come una tentazione. Gesù nel deserto!

Svolgo il tema il cui titolo potrebbe essere:

Quale  DISCO o anche solo CANZONE
sceglieresti come la colonna sonora del film della tua biografia?

Qualcosa che ci accompagni dal parto alla partenza. Dalla culla alla bara! Qualcosa che accenni al nostro destino ermeticamente ma per intero. La musica come cifra del Destino.

 

L’ascolto e lo studio della musica come terapia del dolore. Fisico e psichico.

 

Partiamo chiedendoci: come ascoltiamo la musica? Siamo catturati del suono (significanti) o ascoltiamo anche il canto, se c’è? (significati possibili). Ascoltiamo gli impianti HI-FI… a volte osservando certi maniaci dell’Alta Fedeltà ho pensato che ascoltassero i difetti degli impianti. Ascoltavano gli impianti o addirittura LE SCATOLE VUOTE degli apparecchi. Non ascoltano la musica.

Musica cantata, senza parole, in una lingua straniera di cui comprendiamo la lingua ma anche no. Musica da camera, sinfonica, oppure seguiamo la corrente prevalente nel XIX secolo in cui la musica sinfonica è iniettata nella forma dell’Opera. E qui intervengono oceani di significati. Dal teatro shakespeariano alla rivisitazione di miti. Faust, Don Giovanni…

Con il tramite della parola, si giunge così al brandello di opera che chiamiamo “una canzone”!
Si giunge così al brandello di opera che chiamiamo una  “CANZONE”!

In fondo questa fusione continua nel XX secolo con la musica pop-rock. Canzoni e canzonette.
Non mettetemi alle strette, sono solo CANZONETTE!!!

Fino al rock  progressivo che si è cimentato nella ricostruzione della struttura dell’Opera.

Penso a Quadrophenia degli Who.

The Wall dei Pink Floyd

 Ziggy Stardust  di David Bowie.

In the court of crimson king dei King Crimson

Tutti morimmo a stento di Fabrizio De Andè

Qui la forma dell’Opera è ben riconoscibile.

Direi che la svolta dei films-epopea (Kill Bill di Tarantino, Twin Peaks di Linch) è dietro la porta! Ne parlerò in seguito.

E la CANZONE con Dylan ha preso affinità con la poesia, per quanto poeti e cantautori  stiano al gioco e ogni volta spieghino come siano due discipline diverse. Magari cugine (aprirò una finestra in proposito) ma differenti. L’ultima volta se ne è riparlato in occasione del conferimento del Nobel per la letteratura a Dylan.
Piuttosto con lui la poesia vira verso il romanzo…  per esempio Ballad in simple D (Semplice ballata in Re Maggiore) con suoi 8 minuti abbondanti non si discosta dall’accordo di Re Maggiore con poche varianti. Davvero da brividi, considerando i costumi del tempo: siamo nel 1964.
In questo brano di 8 minuti Dylan porta la poesia verso il romanzo: il brano è contenuto nell’album  Another side of Bob Dylan.
In questo romanzo viene ritratta la fine traumatica della relazione con la ragazza (di origine italiane, Suzie Rotolo) ritratta nella copertina di The Freewelling. Analogamente  in Vision of Joanna per Joan Baez.

Bene ascoltiamo la musica che passa il convento… io ho ascoltato la mia!

Ma Quando ascoltiamo, ascoltiamo più la musica o le parole? Cerchiamo l’aderenza a sistemi di credenze. Ascoltiamo Alban Berg perché è dodecafonico. Oppure cerchiamo nelle canzoni di Dylan o di Ivano Fossati la conferma di cui abbiamo bisogno nel sentiero della conoscenza di noi stessi. Ci rispecchiamo in un certo periodo storico o in certi autori.

Ogni istanza è valida, a condizione di esserne coscienti!

Negli ultimi anni del liceo marinavo la scuola ma… mica andavo a divertirmi…. mi divertivo a modo mio! Non andavo a scuola ma mi infilavo in biblioteca. Istituzione ugualmente dignitosa deputata  allo studio! In biblioteca studiavo il marxismo. Già in quegli anni mi avevano riconosciuto il ruolo di formatore dei quadri del partito.

In biblioteca chiedevo Il Manifesto dei comunisti e Stato e rivoluzione di Lenin. Ho fatto anche di peggio… Questioni del leninismo di Stalin.

Però, felicemente finivo poi un’altra stanza!

L’esperienza mi ha condotto in una sala della biblioteca Sormani a Milano dal nome che nel frattempo è divenuto sospetto. Si chiamava DISCOTECA!

Era la biblioteca dei dischi come quella dei giornali, riviste, periodici, si chiamava EMEROTECA!

Beh nella mia giovinezza quella fu l’unica discoteca che abbia frequentato!

No, forse non avete capito! Questa non era la discoteca! Questa è la prestigiosa Biblioteca Sormani a Milano!
Si definiva discoteca una saletta che si affacciava ad una delle finestre al primo piano. Una o due finestre, non di più!

Si trattava di una saletta che ospitava tra le 6 e le 10 postazioni con un banco su cui era montato un grammofono, si chiedevano i dischi ai “discotecari” che li mettevano in funzione sui grammofoni al di là di un vetro cui l’utente non poteva accedere.

Naturalmente il catalogo era composto per almeno il 95% da musica classica ma in mezzo a questa bella compagnia c’era un disco di Bob Dylan, uno anche di Johan Baez, forse Woody Guthrie Ma niente altro. Qualcosina di folklore ed etnica.

Mi trovavo spesso con un vicino di banco che evidentemente studiava direzione d’orchestra e mentre ascoltava… compiva i gesti del direttore d’orchestra.

Quasi tutti tenevano sott’occhi spartiti.

A me bastava questa immagine

E mi perdevo nell’ascolto di questo disco che ha accompagnato il corso della mia biografia successiva.

Persino per accordare la chitarra, prima dell’invenzioni di applicazioni più sofisticate, prendevo il Re Maggiore da Blowin’ in the wind!

Ancor più brutalmente mi chiedo:

Ho fatto lo psicanalista circa 40 anni e spesso mi sono chiesto: del discorso del paziente, ascolto le parole o la musica? Quanto l’una quanto l’altra?

Ad alcuni ex-pazienti, divenuti im-pazienti, ho confidato che io nei loro discorsi ascoltavo più la musica che le parole!

Perché con le parole ogni paziente vuole ipnotizzarci. Passano mesi di sedute, cambiano i temi ma la musica è sempre quella ed ascoltare le parole vuol dire partecipare al delirio del discorso che finirebbe con concludere che ha ragione il paziente con la sua nevrosi. Ma l’analista è lì per sospendere questo giudizio…

Il paziente non ha sempre ragione. Altrimenti entriamo nel marketing e usciamo dalla cultura.

Per questa settimana vi lascio un compito, se vorrete eseguirlo. Io ho fatto l’esempio di quel che è stato The freewelling Bob Dylan.

Ma ciascuno di noi cosa sceglierebbe come piattaforma sonora per il racconto di tutta la vita?

Un destino a cui ci affidiamo.  Dove ci porta il Desiderio?

Che musica sceglieremmo per accompagnarci dal parto al funerale.

Se volete condividere la vostra esperienza in proposito possiamo farlo nei commenti qui!

In momenti diversi potremo inserire ascolti diversi ma a chi affidereste la colonna sonora?

Ad Ennio Morricone con Sergio Leone. Badalamenti con David Linch.

E per ciascuno di Voi?

Per il vostro film biografico?

Grazie a quanti vorranno giocare con me questo gioco!

E’ solo un gioco ma è la proposta più seria che mi è dato fare!

2 pensieri su “La musica come terapia del dolore (UNO)

  1. Ciao Francesco, molto bello leggere questo tuo post, per multeplici ragioni. Alla domanda “Ma ciascuno di noi cosa sceglierebbe come piattaforma sonora per il racconto di tutta la vita?” non ho una pronta risposta, e mi immagino questo non ti sorprendera’. Mi accorgo non ho mai pensato in termini longitudinali, se cosi si puo’ dire. In pratica, mi viene da dire che inconsciamente vivo quello che e’ il mio orientamento attuale come se fosse l’attuale gradino di una traiettoria evolutiva che conta. Pero’ la domanda mi conduce a riflettere; e’ come se impone pensare a qualcosa che non e’ un abito che lo indosserei solo per l’occasione attuale ma che possa pensare di indossarlo in modo che possa indossarlo oggi come nelle fasi che anno portato ad oggi, e come dici implicitamente con ‘fino alla tomba’ anche domani. Credo mi ci vorra’ del tempo. Ne frattempo, un abbraccio e grazie per condividere la tua esperienza e riflessione

  2. Ciao Francesco, ci porti sempre dei quesiti difficilissimi. Ascolto musica, da sempre, ma dirti quale sia il brano di una vita, non so proprio, è molto difficile, anzi imposdibile stabilirlo, ma da ora mi concentrerò sull’argomento che appunto è in continuo “aggiornamento”, in un continuo seguire i fatti della mia vita. Ci penserò. Credo certamente che l’analista che è in te dopo un po ascoltasse non le paarole, ma la “musica” del paziente. Grazie ti abbraccio. Cinzia

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