Il mio Sessantotto (3). Memoria del movimento #provo e altre meraviglie

Nel maggio 68, non sapevo nulla di politica.
La prima volta che scesi in piazza non impugnavo la bandiera di un partito o una convinzione. Niente falce e niente martello.
Lo feci con la spontaneità ma anche la goffaggine di un diciottenne.

Mi vergogno un po’ a rievocarlo ma questo è.

Mi procurai il foglio da disegno più grande che trovai. Disegnai, scrissi, incollai.
Bene inteso, niente di paragonabile ai lavori artistico-creativo di cui son capaci i ragazzi di oggi. Da dis-grafico qual ero (rimandato due volte in disegno) tracciai a un lato del foglio il simbolo della pace, incollai una foto di Dylan e di mio pugno tracciai in lettere cubitali:

BASTA CON LE IPOCRISIE!

Vale la pena di contestualizzare i particolari di questa operazione.
Per quanto riguarda la foto occorre ricordare (difficile immaginarlo oggi) che a quei tempi non era affatto facile reperire e riprodurre immagini o materiali inerenti alla cultura per la quale oggi abbiamo coniato il termine di “alternativa”.
Avevo trovato una immagine di Dylan che mi toccava particolarmente. Mio padre osservò che sembrava un cieco. Non aveva tutti i torti ma, obiettai che anche Omero era stato immaginato come cieco. Come Orfeo che non doveva voltarsi a guardare. Per i Bardi è sempre così.
A quei tempi trovare una foto e riprodurla non era immediato come oggi. Pochi disponevano di una fotocopiatrice. Occorreva ri-fotografare…
Era a venire anche la tecnologia del Fax. Il Sessantotto ha usato la tecnologia comunicativa del Tatze-bao e la stampa del ciclostile che non si prestava facilmente a riprodurre immagini. Si dice invece che il Movimento del 77  fosse caratterizzato dall’uso del Fax. Già, come avvertiva MacLuhan il medium è il messaggio.
Allora girava così e ritagliare una fotografia poteva comportare il ritagliarla da una rivista o, come nel mio caso, da uno spartito. Comportava un “sacrificio”.
Io lo compii, ritagliai ed incollai al mio foglio una foto che oggi non è difficile reperire e riprodurre in rete.

Sacrificai lo spartito per scendere in piazza con quel cimelio sacrificato.

Per quanto riguarda insimbolo antimilitarista. Il logo della Non-violenza è davvero suggestivo, a distanza di tempo, leggere questa pagina.

Come nasce il simbolo della pace?

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Il significato di questo simbolo che nasce negli anni ’40, affonda le radici nel terreno nell’orrore antimilitarista al compimento di due sanguinose guerre mondiali. Elemento che riprenderò nel rispecchiamento tra novembre 1918 e maggio 1968 in conclusione a queste pagine.

Nel Sessantotto prendemmo coscienza degli orrori che la prima metà del XX secolo ci aveva propinato: due guerre mondiali, dittature feroci come quella nazista, ma anche staliniana e maoista. In realtà il bilancio delle vittime sacrificali è, in ordine crescente, Hitler, Stalin, Mao. Ma questo non si sapeva ancora. E l’emblema della non-violenza era esibito per esorcizzare i demoni della violenza, della sopraffazione. Così ingenuamente invocai: Basta con le ipocrisie!

Naturalmente il ragazzo di tutto questo sapeva quel poco che poteva trapelare dalle leggende metropolitane.  Ma le mie leggende le potevo attingere più che nella metropoli che non sempre era alla mia portata, nel parco. Recitavano in quei mesi i Jefferson Airplane:My online office is the park!
Per me c’era il parco Solari che, prima della piscina, ospitava una falegnameria che somigliava molto a quella descritta ne I Ragazzi della via Paal. O, per farla breve, quel parco, nella mia biografia, ha costituito anche ciò che i Giardini di Kensington ha costituito per Peter Pan. Ma ha costituito anche il luogo in cui venni felicemente contaminato da un nuovo vento: quello di ciò che si chiamerà la cultura alternativa.

Prendiamo il caso di un corso parallelo di questo simbolo. In quegli anni, nel mio liceo, il simbolo era anche l’emblema di qualche studente che si riferiva al movimento Provo.

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Significativo chinarsi a guardare i tratti di questo movimento che certo non ha fatto la storia ma qualche storiella non smette di farla.
I Provos olandesi erano un

Gruppo che apparve nelle strade olandesi nel 1965 imperversando con i suoi famosi Pianibianchi contro le «scatole ostenta status», ovvero le macchine a benzina, a favore di una sessualità più consapevole e per i diritti degli omosessuali, contro la violenza della polizia ecc

Loro obiettivo era fare in modo che la gente non si addormentasse, soprattutto in un paese ricco come l’Olanda in cui era possibile che le persone non solo si lasciassero travolgere dal sonno ma smettessero di pensare iniziando a vegetare. Nonostante le difficoltà rappresentate da una lingua ostica come quella olandese e dalla mancanza di quel «megafono fondamentale rappresentato dalla musica pop», che contribuì alla diffusione della beat generation prima e del movimento Hippy poi, la rivolta dei Provos olandesi ebbe comunque una eco straordinaria in tutta Europa.

Matteo Guarnaccia, Provos. Amsterdam 1960-1967: gli inizi della controcultura
Attinto da    https://storicamente.org/sessantotto-casilio_link4

Era tutto molto improbabile, eppure l’istinto dei ragazzi, a volte, ci azzecca.

 

I Provos elaborarono la proposta politica dei “Progetti bianchi”, che intendevano socializzare i mezzi di trasporto, le abitazioni (segnalando nelle pagine della rivista PROVOS gli appartamenti sfitti da occupare), i metodi contraccettivi. Il primo di questi progetti, Piano delle Biciclette Bianche (1965), proponeva di sostituire progressivamente il traffico motorizzato con quello ciclistico attraverso la distribuzione pubblica di biciclette di proprietà comune. Sulla rivista Provo n. 9 del 1965 l’artista Constant Nieuwenhuys (già fondatore del gruppo CO.BR.A.) pubblicò alcune proposte per una trasformazione urbana che mettesse al centro i bisogni dell’essere umano. Altri “progetti bianchi” portarono il nome di “Piano dei Piedi Scalzi”, “Piano dei Camini Bianchi”, “Piano delle Abitazioni Bianche”. Le biciclette bianche rimasero comunque il simbolo più noto del gruppo.

Fonte della cit. Wikipedia

Quindi facendo l’inventario delle stramberie di questi ragazzi: anticonsumisti di prima generazione, rivendicazione di una sessualità più cosciente, riconoscimento dei diritti degli omossessuali, un potente, spiritualissimo (se mi passate la parolaccia) appello al risveglio della coscienza. Ma non solo.
Sensibilità ecologica (cose da marziani ai quei tempi), anticipazione del fenomeno sviluppatisi poi anche in Italia dell’occupazione delle case sfitte. Socializzazione dei mezzi di trasporto: sostituire progressivamente il traffico motorizzato con quello ciclistico attraverso la distribuzione pubblica di biciclette di proprietà comune. Le biciclette bianche che ho proposto nell’immagine di copertina.
Notevole anche l’anticipazione intuitiva delle biciclette bianche. Ci vorranno quasi 50 anni perché qualcuno riprenda l’idea. trasformandola ovviamente in business, bene inteso ma, dato che nessuno l’ha ripresa in altro modo… e comunque riconosciamo un primato dell’idea.

Consideriamo l’intuizione di pochi ragazzi olandesi, le loro idee creative, la sensibilità in largo anticipo col tempo. Tutto questo basta e avanza.  Fino a colmare la misura del possibile. E una volta colmata, dulcis in fundo, una straordinaria intuizione che per le nostre istituzioni sclerotizzate parla dritto al cuore, a condizione di sapere e volerlo ascoltare.

Il gruppo decise di sciogliersi per non correre il rischio di diventare prevedibile il 13 maggio 1967 con una grande festa a Vondel Park, introducendo il modello d’azione “della morte e trasfigurazione” che prevedeva lo sparire per poi tornare in un’altra forma; modello questo a cui faranno riferimento i vari gruppi controculturali europei e italiani.

Matteo Guarnaccia Ibidem.

Per questo ultimo particolare auspicherei una standing ovation dei miei lettori oltre che mia.

Questo scioglimento mi ricorda tanto quella che mi piace definire “l’Assunzione in cielo di 4 scarrafoni”: il concerto cielo in con cui si sciolgono i Beatles. Il mitico  Rooftop Concert

Che meraviglia: Morte e Trasfigurazione. Sparire per poi tornare in un’altra forma. Nel 1967!

L’ingeniutà di un ragazzino e quella dell’anziano che sono diventato si congiungono in cielo e posso vedere tutto questo.

Me ne dispiace caro Sor Capanna! Cari sessantottini marxisti, caro Nanni Moretti.

Il mio Sessantotto è stato un’altro.
Non mi vergogno della mia pochezza.
Del mio buffo foglio da disegno. Preferisco quello a tutte le vostre falci e tutti i vostri martelli.

 

Questa pagina prosegue il discorso iniziato in

Il mio Sessantotto (2) Come il rock ci ha salvato la vita.

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