Il fannullone (1° maggio 2014)

1-maggio-2014

È la mattina del primo maggio e splende il sole a Milano. Ci dev’essere un qualche fondamento nella creazione della fastidiosa bestemmia toscana. I toscani sono abili in questo. Imprecano il “Dio fascista!”.
In effetti il 25 aprile piove sempre. Spesso invece il primo maggio esce il sole. Forse per il concerto in piazza S.Giovanni a Roma. Facevano torpedoni fin da Milano per l’occasione.
Io non sono mai andato. Per quanto riguarda i torpedoni… lo so che oggi li chiamano pullman, come gli inglesi. Io resto fedele al torpedone di cui ho già parlato.

Eccomi in un altra ricorrenza del primo maggio, per tutto il giorno, al lavoro. Non immagino modo migliore di santificare questa festa.
È giusto che un operaio o un impiegato, che si alza presto ogni mattina per recarsi al lavoro, festeggi con un giorno di vacanza. Io conosco altre durezze legate alla mia condizione di invalido. Ma in fondo all’anima cerco di essere fedele alla mia vocazione giovanile. Quella di fannullone. Flaneur al modo di Walter Bejamin. Perdigiorno al modo di von Eichendorff. Cambia poco. La vocazione è quella. Più recentemente l’ho chiamata Accidia e ne ho fatto l’emblema di uno dei miei quadernetti preferiti.

È che da ragazzo per troppo tempo ho canticchiato una canzonetta di Fabrizio De André scritta a quattro mani con Paolo Villaggio. Si intitola “Il fannullone”e la potete ascoltare qui.
Nel 45 giri in vinile fu pubblicata nel lontano 1963. Avevo 13 anni. Era il retro della prima pubblicazione di un altra canzone ben più famosa. La ballata di Re Carlo. Questa venne ripubblicata in LP, 33 giri molto prima e resta emblematica e popolare.
Il Fannullone invece venne ripubblicata in uno di quei LP che hanno riempito un momento di vuoto creativo la carriera di Faber: “Nuvole barocche”.
Ma, lasciando le Nuvole Barocche e tornando a me, è meglio riconoscerlo subito. Fino all’età di trent’anni la cosa migliore che abbia fatto è canticchiare canzoni d’autore accompagnandomi con la chitarra.
Invano oggi cerco di riprendere questa attitudine orfica. Niente da fare. Oggi mi sono messo a lavorare da un pezzo. In altro modo inseguo il canto di Orfeo.

Nei pochi mesi in cui lavorai, prima dei 30 anni, come supplente di una anziana suora-maestra in una scuola di Orsoline, registrai mentalmente la conversazione con un bambino che alla domanda “Che cosa vuoi fare da grande rispose candidamente: “Niente, signor maestro!”. “Bene”, gli risposi per nulla scandalizzato. Ma dopo qualche attimo di riflessione ebbi la buona grazia di aggiungere: “ma per fare questo, ragazzo mio, devi studiare tanto!”.
Lo credo ancora. Infatti non ho mai smesso di studiare. Anche se da anni non leggo più. Ma non smetto di studiare interiormente. Nella camera segreta del mio cuore.
Studio per riuscire a presentarmi dignitosamente nei miei panni prescelti di fannullone.
E anche i fannulloni festeggiano il primo di maggio. Lo fanno percorrendo come sempre la strada della comunicazione ma viaggiando contro-mano. Se tutto l’anno si fa i fannulloni, il primo maggio si lavora.
Eccomi anche quest’anno al lavoro.
Dopo due settimane di cure termali rientro a casa e trovo, come ovvio, un disastro sui tavoli di lavoro.
Disordine sul tavolo dello studio. Metà dei materiali che uso li ho portati con me a Roncegno e, scaricati frettolosamente ad intasare lo spazio.
Proprio ieri che un paziente mi ha chiesto di poter fotografare la stanza d’analisi… Naturalmente gliel’ho consentito, ma con un  pizzico di rammarico.
Per voi posso fare di peggio. Certo, un fannullone di talento riesce sempre a far di peggio. Ci deve comunque essere una evoluzione della specie!
Vi offro, nell’immagine di copertina, la pietosa immagine del mio tavolo di soggiorno.

In questo marasma sono naufragati “Il Libro Rosso”di Jung. Tutto questo serve in fondo per preparare il mio libro rosso ma evidentemente non ho la stessa determinazione e talento del maestro.
Spartiti, penne, pennelli, matite  inchiostri e colori, cavi di connessione, spartiti, libri. Sullo sfondo, essendo nato sotto questo segno, la bilancia di mia madre. Il suo pianoforte. Una chitarra elettrica simil-Telecaster bianca che rappresenta più una aspirazione che un compimento.

Buon Dio, o assemblea dei Buddha che dimorate al cavalletto di sfondo, abbiate pietà di tutti questi oggetti eterocliti.
Al liceo scientifico ho imparato questa espressione suggestiva… oggetti eterocliti…!

Questo é il tavolo del mio “atelier”, distinto dal tavolo della stanza di analisi. Entrambi in qualche modo ingombri di materiale per la produzione artistica. Nella stanza d’analisi si scrive, disegna, dipinge, ritaglia e incolla senza computer. Si può anche ascoltare musica.
Nella stanza dell’atelier, oltre a tutto questo, si può suonare e cantare.

Dopo qualche anno di preminenza infruttuosa in camera da letto la mia chitarra preferita ha chiesto asilo politico nell’atelier. Mi è sembrata una richiesta sensata.
In questo trasloco però, come in ogni trasloco (chi l’ha vissuto lo sa) è avvenuto qualcosa di curioso.
Estratta dalla custodia con cui era stata trasportata per le cure termali, la custodia non è stata subito riposta.
È rimasta aperta una notte. Ha dormito per terra nell’atelier e guardate cosa ho trovato al mattino. Una scena davvero toccante.

Custodia

Casa Raphael ha compiuto un altro miracolo con la mia chitarra. Non ne ha voluto sapere di tornare a dormire in camera da letto. Dice che si annoia a dormire tutto il giorno. Come accennavo, ha preso rifugio qui. Da questa nuova collocazione ha ricevuto in queste ore nuovo impulso.
Sono anni che desidero riprenderla in mano. Anche Ivano Fossati ha messo una buona parola. Mi risuona nella testa e nel cuore una sua esortazione perentoria “Non ho mai tradito la mia giovinezza”. E precisa:

[quote align=”center” color=”#999999″]Sono colpevole di aver perseguito lamore ed altre deviazioni.[/quote] Come sempre lo confesso. Ma non al parroco-confessore. Ai fratelli che mi leggono.I miei gatti
Ho sempre cercato di non tradire la mia giovinezza. Solo di questo mi rammarico: di aver abbandonato la chitarra alle ortiche e di non cantare più.
L’unica consolazione in questi anni è stata quella di considerare questo come un sacrificio. Anche se su questo occorrerebbe una riflessione che qui però non può trovare spazio oggi. Ci vorrebbe almeno un’altra paginetta per indicare le condizioni presenti per le quali un sacrificio è tale. Una rinuncia non è necessariamente un sacrificio.
Che possa essere stato un sacrificio sono stato indotto a pensarlo riflettendo su una circostanza di cui non ho mai parlato ma che ho occultato nella pagina di accoglienza del mio profilo Tumblr

[quote align=”center” color=”#999999″]

Da ragazzo suonavo la chitarra e canticchiavo.
Da grande ho fatto lo psicanalista.
Ora faccio qualche conferenza, ma mi hanno detto che non sono un vero conferenziere.
Sono un cantastorie.
Mi èparso un gran complimento.
Il punto di approdo e di sintesi del mio percorso.

[/quote] Per l’occasione misuro l’ampiezza della mia accidia calcolando da quanto tempo non pubblichi qualcosa lì!
Perdo tempo sul mio profilo personale FaceBook. Ma forse non sono il solo! Sembra che FB sia concepito per questo. Per ammazzare il tempo. Che anche questo sia un modo del sacrificio? Mah?!! Tirrem innanz, come dicono qui a Milano.

Che il Fannullone che ho portato in salvo sin qui festeggi il primo di Maggio ma lo faccia lavorando in casa in una bella giornata di sole.
Che questa passeggiata nella scrittura disegni la traccia del mio intrattenere i pazienti lettori.
Che si rifletta comunque sul sacro mistero del lavoro. Quello che dopo la caduta di Faust resta lo strumento privilegiato di redenzione. Grazie anche alla mano gentile dell’anima di Margherita. La sua benedizione e il lavoro delle nostre mani cantino la gloria del Lavoro.
Il lavoro che ci tratta tutti come cani di paglia. Così recitava Mao Tze Tung nel suo rosso libretto. Rosso come quello di Jung. Ma forse quella del destino che ci tratta come cani di paglia ha radici molto più lontane e profonde nella cultura cinese.
Affonda nel quinto capitolo del Tao e sussurra:

[quote align=”center” color=”#999999″] Il cielo e la terra non sono umani:
trattano i diecimila esseri come cani di paglia.
Il saggio non è umano:
tratta i cento clan come cani di paglia.
[/quote]

Lao Tsu, Tao Te Ching cap 5, traduzione Sabbadini

Il nostro lavoro è un dono che il cielo e la la terra accolgono facendone simulacri di altro che non sempre siamo noi a determinare.
La vita fa delle nostre opere ciò che crede.
BilliQuesta, qui ed ora, è la regola del gioco. È meglio venirne a patti.
Nel disordine della mano e della mente, la custodia dimenticata della mia chitarra diventa la cuccia dei gatti. Non sono gatti di paglia ma esseri, viventi e imperversanti in casa mia.

Come delle mie paginette ignoro cosa possano farne i lettori.
Intuisco che molti ne facciano qualcosa del genere.
Da parte mia che facciano pure.
Io scrivo per questo.
È questa la condizione dello scrivente.
Blogger compreso.
Quello che parla al vento, scrive sulle nuvole e ha imparato a parlare coi muri.
Che non disprezza il dialogo con le più piccole cose. Le uniche che ci restano e che abbiamo sotto mano.
Quelle in cui io prendo rifugio.

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