Stavo per iniziare a scrivere intorno al grado tre della meditazione. Ho avuto la necessità di ripercorrere le tappe precedenti. Ne è uscita una sintesi con elementi nuovi anche per me.
Mi limito per oggi ad offrire questi!
Nel grado zero, abbiamo visto come il silenzio e la calma possano essere soltanto un dono d’amore. Non è possibile ottenerle soltanto con un irrigidimento della disciplina.
Nel grado uno abbiamo scoperto come abbandonare il peso alla terra, sgravarsi dello s/forzo, per scoprire la forza che produce il lavoro interiore. Se in meccanica il lavoro è forza per spostaamento, Forse anche il lavoro interiore è pur sempre pensabile come forza per s/postamento. Ben altra cosa dallo sforzo per un posto. Per una postazione o postamento! Anche dallo s/forzo per la postura!
Nel grado due abbiamo visto come dall’abbandono del peso (dello s/forzo) lasci affiorare la percezione delle vere forze che ci sostengono, che tessono, istante per istante, la nostra esistenza. Potremmo definirle “I nanetti calzolai”! Il vai/vieni del respiro, del battito cardiaco. Anche l’alimentazione e il sonno sono, in fondo, attività ritmiche. Vai/vieni.
Da questa postazione è possibile osservare gli esiti di tutte le percezioni (anche loro vanno/vengono ma meno ordinatamente). Non a caso molti insegnanti di meditazione o di yoga suggeriscono, su una estensione, su una postura acquisita, a volte anche su un disagio o un dolore, di “respirarci sopra”. Di integrare il caos della percezione nel cosmo della tessitura dei ritmi organici. Anche la mente e l’attenzione vanno/vengono. La respirazione della mente è pensabile come il ritmo, il palpito della concentrazione. Corrado Pensa ricordava spesso come la differenza tra un meditante neofita e uno esperto stia nella gentilezza con cui si torna alla concentrazione dopo una distrazione. Forse la capacità di distrarsi fa parte delle funzioni preziose della mente. Spero di non forzare il ragionamento aggiungendo che ogni detective dell’Europa moderna trova spesso la soluzione di un enigma dopo un momento di piacevole distrazione. E’ forse proprio la distrazione che esprime la natura della capacità pensante.
Mentre penso non-sono. Posso tutt’al più concedere a qualcuno (gli spiritualisti da cui, in quanto sublime pragmatista, prendo le distanze) posso concedere a loro che il pensare sia il seme di quello che sarò/à.
In principio era il Verbo. Giustamente in principio. Un principio da ri-conquistare grazie al lavoro interiore.
Come potremmo progettare qualcosa se non ci astraessimo per un istante dal presente?
Ognuno di questi concetti delle discipline mistiche va, a mio avviso, considerato con estrema attenzione per non provocare distorsioni o inflazioni psichiche che non conducono a nessuna realizzazione. Ci allontanano piuttosto dal lavoro interiore.
Ancora: alla fine del grado due della meditazione ho posto, involontariamente, una insidia. Un vero e proprio “cavallo di troia”.
La considerazione sulla possibilità di osservare il pensiero. Ipotesi suggestivamente militata da una intelligenza del calibro di George Steiner.
Possiamo davvero osservare il respiro o il pensiero senza modificarlo?
Quando siamo coscienti di una distrazione non ne abbiamo già ricevuto un passaggio, pur piccolo, in autostop?
Possiamo davvero guardare i pensieri dall’esterno e guardarli come un auto che passa o il fiume che scorre?
Non ho una risposta e, forse, se l’avessi, non la rivelerei perché credo che ciascuno debba camminare con le proprie scarpe.
Mi accontento della considerazione attribuita al Buddha storico che avrebbe risposto “A questioni controverse è legittimo offrire risposte controverse”. Ho sempre sentito citare un adagio del genere anche se non l’ho mai incontrato nei Canoni.
Infine, nel grado tre della meditazione cercherò di sviluppare il mistero, non oso definirlo domanda, “dove si può collocare lo schermo in cui avviene tutto questo”.
Dove possiamo collocare il lenzuolo bianco su cui proiettiamo il film della nostra vita mentale?