Lasciate il vostro peso alla terra. Il grado uno della meditazione.


L’apprendistato della mia meditazione ha radici nell’apprendistato della mia invalidità.

Strane sincronicità per cui, come concludevo ne “Il gioco del silenzio”, cose molto buone o molto belle confinano con cose molto cattive o molto brutte.

Fatto sta che a sedere a gambe incrociate io non ho imparato in una sala di meditazione, ma in una piccola palestra di fisioterapia, nel centro paraplegici del Pio Istituto Santa Corona a Pietra  Ligure nell’estate del 1981. Avevo poco più di 20 anni ed ero reduce da una lesione midollare che tutt’ora mi affligge.

Appena arrivato in palestra le fisioterapiste mi facevano scendere dalla carrozzina al tappeto e mi dicevano semplicemente “Mettiti lì e stacci, a gambe incrociate, così ti decontrai…. Resta lì un po’…, ancora un po’…, non ti fa mica male! E quanto a casa ti alzerai, al mattino, prima di metterti in  moto, resta un po’ lì al tappeto”!

Come io abbia imparato a far scendere le ginocchia al tappeto non lo so e non lo ricordo. Probabilmente è un segreto custodito nella scatola nera della mia memoria muscolare. Sì, perché muscoli, tendini e quant’altro nel corpo fisico, che crediamo di conoscere, hanno una memoria del genere e spesso non è facilmente accessibile.

Certo è che, quando circa 10 anni dopo dovetti provare questa posizione per la meditazione, paradossalmente mi riuscì più facile che alle persone normali.

Che dolgano le ginocchia, mettendosi seduti a meditare, è da considerarsi normale. Seduti come gli orientali, gli occidentali non riescono a starci senza un certo allenamento. Ma tutti gli insegnanti di meditazione minimamente equilibrati lo sanno e lo dicono. Si può meditare benissimo anche su una sedia.

A ciascuno però tale ipotesi appare immediatamente come il coniugarsi nel registro di un bodhisattva-diversamente-abile.

Eh no. Io no!

Ho avuto la fortuna di imparare i primi rudimenti di quest’arte da un insegnante eccellente che ho sempre visto meditare seduto su una sedia. Il professor Corrado Pensa. Beh, ma lui…. è l’eccezione che conferma la regola.

Di solito uno ci prova a sedersi per terra. E lì inizia il supplizio. Mica che ci sia nulla di spirituale nel fatto di sedere per terra. È vero che nessuna posizione è stabile ed equilibrata come quella del loto completo, ma richiede allenamento paziente e non tutte le fisiologie possono raggiungerlo. Quindi, essendo la meditazione un lavoro interiore e non una acquisizione ginnica, ci deve essere un altro modo.

Una sola cosa risulta importante. Sedere con la schiena dritta e possibilmente staccata dallo schienale. La schiena dritta non deve essere quella di un soldatino rigido. La questione non è meccanica, è un problema ottico. Se la schiena è dritta le vertebre sono allineate e la colonna diventa un cannocchiale, una sorta di telescopio….

Ma riprenderemo questa immagine. Non anticipiamo i tempi. Nulla come la pazienza è virtù imprescindibile in quest’arte.

All’inizio ci si siede come si riesce e gli istruttori Zen più equilibrati, ai nostri giorni, rinunciano a correggere la posizione. Fatica sprecata. Con pochissime indicazioni è un processo che matura da solo nel tempo.

Son le forze del peso a lavorare.

Inizia così il tormento di un corpo che non riesce a star fermo. Forse per il ragazzo iper-cinetico che son stato la prima sfida è questa.

Star fermo. Ma quanto tempo? Venti minuti? Quarantacinque? Ma quanti ne son passati?

Ora non resisto ed apro gli occhi.

Cambio leggermente la posizione così non sento più quella tensione, quel prurito, quel sottile dolore. L’indicazione è chiara: se decido che mi devo muovere assolutamente posso farlo, ma non istintivamente.

Se proprio decido di muovermi preparo il gesto. Assaporo il momento tra decisione ed esecuzione. Se decido di grattare il ginocchio, il movimento deve partire dal braccio. Comincio a muovere la punta delle dita. Poi la mano. Il braccio.

Devo ascoltare il movimento dell’aria sul braccio in movimento. Il braccio che attraversa lo spazio e le mani si posano sul ginocchio…

Come nella geometria di  Euclide. Tra un punto e un altro punto, c’è sempre un altro punto.

Invece niente da fare. L’idea è chiara ed affascinante. Pienamente compresa. Potresti spiegarla ad una intera scolaresca. Ma la mano arriva prima e compulsivamente sfrega il ginocchio. E se tutto questo non bastasse gli occhi si ritrovano spalancati. Ci si guarda intorno e lo smarrimento ci afferra.

Una vera catastrofe. Son tutti fermi.

Occhi chiusi. Solo io non son capace di tenerli.

Certo….. Te lo ricordi il  gioco del silenzio? Non ti piaceva per niente. Eccolo qui. Capovolto.

Adesso lo capisci quello stupido gioco? Tutti  fremi, zitti, concentrati. E tu lì, che ti gratti il ginocchio e ti guardi in giro.

Ma che compostezza. Che mancanza di tensione. Sembrano statue scolpite. Tanti piccoli Buddha.

Allora richiudi gli occhi e ti dici che ormai non accadrà più. Han l’aria di star così bene quegli altri che stan fermi e stan zitti.

Ma fan così anche i ragazzi e il sublime Pinocchio insegna, a chi lo sappia leggere, che promettere è l’inizio della perdizione. Il problema non è la bugia, ma il volere promettere.

Ricadrai mille altre volte.

La differenza tra il meditatore esperto ed il principiante consiste nella capacità di gentilezza nei confronti delle proprie debolezze. Delle instabilità e dei mutamenti. È la natura della mente, per chi voglia e sappia provare a conoscerla. La mutevolezza è anche la sublimità della mente. Se impari a conoscere e ad amare la tua mente…. Ma come conoscere senza amare?

Solo ad un amico o a un amante si confida un segreto. Un segreto insieme a tante bugie. Su questo davvero occorre sospendere il giudizio. Il giudizio, non il pensare. Non l’indagine critica. Voglio ripeterlo: non giudicare non significa non pensare! Attenzione! Il giudizio spetta al magistrato, il pensiero al filosofo. Solo nella spiritualità vetero-testamentaria Dio è un giudice.

E mentre noi ci impelaghiamo di tutto questo, mentre giochiamo la partita a ping-pong con la mente, a poco a poco, come i nanetti calzolai, le forze del peso plasmano il corpo, le ginocchia scendono, la postura si scolpisce. Tutto mentre la mente sogna. Saltabecca. È distratta nella strenue battaglia per diventare un meditante decente. Non si accorge che le forze del peso stanno lavorando.

Se avviene questo, avviene il primo miracolo. Non tocca più a noi reggere il peso. Il peso del nostro corpo è affidato alla terra. Il peso si scarica. Se ci pensiamo bene è sempre così.

La costruzione del corpo umano è un modello estremamente ingegnoso di meccanismi di scarico del peso. Il mulo non siamo noi. È la terra che porta il nostro peso.

A meno che, seduti nella carrozza di un treno, non ci mettiamo a spingere la parete dello scompartimento. Immaginando di essere noi a spingere il treno. Quale immane, insensata fatica. Del tutto fantastica!

Se veniamo a patti con questa evidenza, senza pretendere di non stancarci più, senza pretendere di diventar angeli solo perché abbiam capito un concetto, allora quel concetto diventerà il seme di una pianta che a primavera fiorirà. Se sopravviverà alla strage degli innocenti. Fonti bene informate garantiscono che per un seme che dà frutto, migliaia se ne perdono.

Ma se questo avviene allora comprendiamo anche perché la schiena deve essere dritta per quanto possibile. Le vertebre allineate. Allora la spina dorsale, quella che io mi son rotta e per cui sono arrivato in quella palestrina di fisioterapia… Allora la spina dorsale diventa un telescopio.

Guardando dal fondo della schiena di ogni uomo, si può arrivare a vedere, non l’opacità della parete delle vertebre, e nemmeno la calotta del cranio. Se lo puntiamo bene riusciamo a vedere il cielo stellato.

Termino questa prima parte recitando uno dei miei mantram. Sono i primi versi del “Canto notturno delle ragazze fiorentine” di Mario Luzi.

Lasciate il vostro peso alla terra

Il nome dentro al nostro cuore

E volate via,

Quaggiù non è vostro l’amore.

9 pensieri su “Lasciate il vostro peso alla terra. Il grado uno della meditazione.

  1. caro Francesco, anche oggi: grazie.
    Ogni tuo post è un insegnamento. E ogni volta, caso che non è il caso, qualcosa mi lega alla tua scrittura. Oggi la connessione è Nora Bateson, che ho avuto il piacere e l’onore di poter ascoltare oggi in Bicocca e tante riflessioni mi ha fatto emergere.
    In risposta ad una domanda di una signora del pubblico, che le chiedeva come si è sentita figlia di un padre che ha insegnato l’assenza di certezza attraverso la teoria sistemica, ha espresso il tuo stesso pensiero, scritto in una riga di questo post “promettere è la fine della perdizione”…
    grazie
    bbb

    1. Grazie del generoso apprezzamento!
      Sai quanto son lieto di lavorare con te!
      Temo che però un lapsus da qualche parte sia scappato!
      Io ho detto che promettere è l’inizio della perdizione!
      O sbaglio?
      Dopo vado a controllare!

    1. Chissà chissà se ci sarà mai dato di affidare il nostro peso completamente alla terra…
      Probabilmente no, ci stancheremo sempre un po’.
      È importante anche consumarci.
      Una leggenda buddista paragona l’esercizio del Dharma allo sfregarsi di un serpente contro un tronco per liberarsi di squame vecchie.
      Le nuove diventeranno vecchie e subiranno lo stesso destino.
      Se non ci stanchiamo non ci corichiamo volentieri!

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