Così concludevo la precedente paginetta: dietro il mondo ci sarebbe sempre un altro mondo? Dietro le cose, altre cose? Quale è stato il mio percorso dal divano psicanalitico al cuscino di meditazione? Proseguo la riflessione su cosa sia, per me, la psico-NON-analisi.
Mi piace ricordare il prologo del dramma di Amleto nel dettato shakespeariano.
L’atmosfera nebbiosa in cui le guardie, spaventate dalla prima apparizione del fantasma del padre, lamentano l’insistenza di “qualcosa di marcio nel regno di Danimarca”.
Qualcosa che non smette di rimettere in moto il rumore, comunque incessante, delle officine. Metallo, cannoni, inquietudine, guerra.
Come Giorgio De Santillana acutamente indaga ne Il mulino di Amleto ci deve essere una sorta di “peccato originale”, di guasto primario, di danno irreparabile, all’inizio di questo gioco.
Chiamiamolo modernità, società moderna, civiltà indistriale o delle macchine. Quella cosa che appena ci lasciamo alle spalle entrando nell’epoca postmoderna.
De Santillana svolge una riflessione di ben più ampio respiro che non possiamo seguire in questa sede. Mi basta averla evocata per indicarla ai più curiosi.
Da parte mia se dovessi indicare quella cosa marcia (da cui comunque nascono meraviglie) indicherei l’escogitazione dell’analisi matematica e del calcolo infinitesimale.
La tecnica mentale per cui ogni elemento è scomponibile in altri elementi fino, presumibilmente, a qualcosa di non scomponibile come l’atomo o qualcosa di simile in cui comunque l’identità delle cose non è più riconoscibile.
L’analisi matematica è il presupposto di qualunque disciplina moderna che rechi nel nome questo elemento. Analisi chimica (che riceve impulso da marchingegni microscopici), analisi di laboratorio, analisi logica, grammaticale quant’altro.
La più recente di questa serie potrebbe essere riconosciuta nella psicanalisi.
Ogni elemento psichico è scomponibile in qualcos’altro. La paura inspiegabile di qualcosa, riflettendo e rievocando esperienze fatte si spiega alla luce di altri elementi che la compongono e la motivano.
Così concludevo la precedente paginetta: dietro il mondo c’è sempre un altro mondo. Dietro le cose, altre cose e così via. Grazie evidentemente al neonato procedimento analitico.
Fino, forse, al rischio di scivolare in un sottomondo. In un sotterraneo. Buona metafora che colloca nell’inconscio psichico. Buono il riferimento al sottosuolo dostoevskijano, ma buono anche quello a “I sotterranei” di Kerouac, all’origine della nozione di underground.
Come la nascita della psicanalisi mostra, questo procedimento è estremamente utile per risolvere quella forma di sofferenze insiegabili (Freud e la psichiatria le hanno definite isteriche il cui significato è inspiegabile alla medicina convenzionale.
In questo caso il procedimento è utlile per risalire a cause inattigibili a livello più superficiale.
E’ noto comunque che l’analiticità abbia invaso in questi secoli il nostro modo di sentire e di vivere.
Una sorta di sospetto invade la nostra coscienza. Ogni cosa significa qualcos’altro. Sembra mancarci la terra sotto i piedi.
Ho scelto, come emblema di questa sensazione diffusa, l’esclamazione riferita alla metafisica dello Zaratusthra nientzschiano: “No al mondo dietro al mondo”.
Spero di non banalizzare affermando che c’è qualcosa che guadagna chiarezza essendo guardato da vicino e qualcosa che guadagna chiarezza essendo guardato da lontano.
Lo sprofondamento di Alice (Lewis-Carrol (http://it.wikipedia.org/wiki/Lewis_Carroll) era un cultore di analisi matematica) è l’emblema di questo.
Tornando al piano della mia narrazione, ci sono sofferenze, disagi esistenziali che vengono attenuati dall’essere scomposti in parti, seguendo analiticamente le piste di associazione per arrivare ad un nuovo senso. Ho paura di ogni oggetto blu perchè, in realtà, un oggetto blu mi ha generato un trama che non ero in grado di sopportare. Oppure l’oggetto blu è il primo oggetto di una serie di oggetti sconosciuti di cui il colore blu diventa l’emblema. Incontrando nuovi oggetti di tutti i colori, di questo tipo, imparerò a non averne paura.
Ma, in fondo, è più utile scomporre la nostra esperienza in parti da analizzare o invece, l’includere la scena vissuta in un contesto più grande, ricco di elementi e considerazioni, ci aiuti a comprenderne il senso.
La risposta per me è ovvia. Mentre lo dico penso che sia ovvia per ognuno di noi…
Invece a me pare proprio che così non sia. Non è vero per un modo di pensare in cui ci troviamo senza nemmeno averne consapevolezza.
La marcia che abbiamo innestato ormai da diversi secoli, come civiltà a cui apparteniamo, ci sprofonda sempre più radicalmente dentro le cose, fino a smarrirci in meandri in cui niente è più riconoscibile.
Riprenderemo il discorso di cui è utile riprendere il filo.
Che cosa Cristopher Titmuss voleva indicarmi dicendo: “Conosci la psicanalisi, ora scopri la psico-NON-analisi”?
Lo ha fatto nel mezzo di un ritiro di meditazione.
Ero passato dal divano al cuscino.
Dallo sprofondarmi nelle cose al, paradossalmente, guardarle dall’alto.
Contemplarle dall’alto, seduto per terra, poggiando al cuscino. Paradossale. Come vedere meglio con gli occhi chiusi.
La visione dall’alto, un esercizio tipico della tradizione meditativa.
E, se non proprio dall’alto, almeno raso-terra.
O, semplicemente, guardare le cose così come sono. Senza penetrarvi. Senza smontarle. Senza cercare significati nascosti.
Niente mondo dietro il mondo.
E già perfetto così.
Oppure non funziona ma, ormai ne sono più che convinto alla mia età e con l’esercizio della mia professione…. Il mondo è assolutamente irreparabile.
Ha una sua bellezza anche così.
Anche le cose brutte meritano di essere amate.
Se non le amiamo, non le conosciamo.
Se non le accogliamo, non ci sussurreranno il loro segreto. Che in ogni caso non comprenderemo mai per intero.
Questo il primo passo, nel possibile esercizio della psico-NON-analisi.