Il mio Sessantotto (2) Come il rock ci ha salvato la vita.

Questa pagina riprende il discorso iniziato nella precedente: Il Sessantotto ha ringiovanito il Mondo.

 

Il mio Sessantotto comincia almeno nel 66 o anche prima.
Ero un ragazzino di buona famiglia e vivevo i tipici conflitti familiari che caratterizzavano il vissuto dell’epoca.
In poche parole vivevo in una prigione fatta di liceo scientifico e casa.  Non avevo il permesso di uscire la sera.
Come tutti i prigionieri sognavo la libertà e ovviamente me la figuravo a modo mio.

Mi aiutava pensare che nel mondo fossero esistiti i Beats, i Beatniks, i Provos. Questi ultimi riceveranno presto la mia attenzione, vedremo quanta ne meritino. Ma in tutto questo la superficialità italiana ci vide sono i capelloni.
A me imponevano penose visite da un barbiere repellente come le sue prestazioni.
Ma la Beat-Generation esisteva e Jack Kerouac mi raccontava la vita che non potevo vivere.

Il massimo di ribellione che potevo permettermi era di nascondermi qualche decina di minuti nella cabina dei barconi che portavano la sabbia dal Ticino e dimoravano alla Darsena di Porta Ticinese a Milano. Abitavo di fronte e questo laghetto che tra i dieci e i vent’anni è stato lo specchio della mia anima.

Se avevo una fede che mi sorreggeva, e ce l’avevo, era la fede nel potere liberatorio del canto. Di questo ho già parlato qui.

Come il rock mi ha salvato la vita. 

Lo sostiene anche Wim Wenders.

Verso i dieci anni un decennio prima del 68 avevo scoperto che il “il tuo bacio è come un rock”.

Consiglio una revisione attenta di questo video per penetrare nell’atmosfera del tempo che, fortunatamente non tutti i miei più giovani lettori hanno vissuto.

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Non sapevo cosa fosse un bacio e nemmeno cosa fosse il rock and roll. Ma prima o poi l’avrei scoperto!

Ecco la fede! 

La mia vita cambiò. Fu una vera conversione. Esistenziale. Religiosa. Sapevo che doveva esserci un altro modo. Un altro mondo. Grazie alla scoperta del rock. Anche se non sapevo ancora che si chiamasse così.

La maestra di piano gettata alle ortiche, la Canzone del Piave e altre scemenze scomparvero come un brutto sogno.
Ma scomparve anche Celentano, come un brutto sogno, con l’adolescenza. E imboccai Via del Campo, trovando una sintesi tra i valori della cultura e di una nuova libertà intravista.

Le prime ballate di De Andrè, dritto fino a “Tutti morimmo a stento”.

E morimmo davvero, per rinascere nei primi 45 giri in vinile di Dylan.
In un altra lingua che non conoscevo ma le cui consonanti mi affascinavano.
Ed eccoci al 1968! Mi appare davvero significativo che nel 1968 De Andrè pubblicasse “Tutti morimmo a stento”. E noi liceali “rivoluzionari” lo ascoltassimo compulsivamente.

 

E morimmo davvero, per rinascere nei primi 45 giri in vinile di Dylan.
In un altra lingua che non conoscevo ma le cui consonanti mi affascinavano.

Ed eccoci al 1968! Mi appare significativo che nel 1968 De Andrè pubblicasse “Tutti morimmo a stento”. E noi liceali “rivoluzionari” lo ascoltassimo compulsivamente.

Vorrei concentrare l’attenzione su questa svolta dei tempi.
E’ De Andrè stesso che pochi mesi prima di andarsene illumina la scena.

«Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente – che sono poi sempre la maggioranza di noi – compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccontare la storia – che peraltro già conosciamo – della predicazione di Gesù Cristo.” 

Fonte della citazione.

  Il Sessantotto di De Andrè, dunque è segnato da Tutti morimmo a stento. Ricordo pomeriggi di presunto studio collettivo e liceale in quei mesi. Ascolto compulsivo di questo disco. Strano!

Sessantotto è morte e rinascita.

Morte, nel caso di De Andrè dell’artista intellettuale che ha scritto, con Paolo Villaggio, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers prendendone di peso il racconto dalla Storia d’Europa di Henry Pyrenne! L’ho scoperto molti anni dopo preparando un esame di storia medievale.
Libro ed autore epocali. Scritto da Pirenne nella prigionia durante la Prima Guerra mondiale. 

Nel 1916 viene arrestato dai tedeschi e tenuto prigioniero in Germania fino al termine del conflitto[1]. A memoria della sua prigionia scriverà il volume Souvenirs de Captivité en Allemagne (Mars 1916-Novembre 1918), pubblicato nel 1920.

Fonte della citazione 

Esercizio mentale e spirituale di un prigioniero per sopportare quella tragica condizione.
Prendiamo nota di questo particolare perché ho già annunciato l’intenzione di leggere il Sessantotto in relazione al 1918.

Henry Pirenne! Qualcuno lo conosceva bene, ci si è formato.  Liceali e universitari a cui subentreranno i liceali ben ritratti nell’ Ecce Bombo di Moretti. Agli intellettuali subentrano gli afasici. Anche questo vorrà dire qualcosa. La “verità” e la “libertà” intuita fa fatica a dirsi.

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Giampiero Mughini, che vi appare come l’intellettuale che va a puttane, dichiarerà qualche decennio più tardi che avrebbe dovuto essere un film tragico. Oggi lo vediamo come film comico. Trovate questa significativa dichiarazione negli Extras della pubblicazione celebrativa del film per un qualche anniversario, qualche decennio dopo.

Chi muore a stento è l’intellettuale borghese come Faber, il sottoscritto nel suo piccolo e molti altri. Altri ragazzi del Sessantotto.

E da questa svolta, da questa morte, da questa metamorfosi, da Via del Campo, a Desolation row (non ascoltate le traduzioni di De Andrè sono tutte orribili) questi “vicoli” si innestano nei grands boulevards,  nella corrente ritrovata del rock. Per Dylan è il viaggio in Inghilterra, per De Andrè verrà l’incontro con la PFM e con una nuova musicalità più “giovane”. I Beatles e i Rolling Stones hanno arato e dissodato il terreno per una nuova semina. Da qui nascerà una nuova dimensione della canzone d’autore che fortunatamente ci accompagna ancora e ci sostiene. Significativa in proposito la boutade di Bowie secondo cui ” gli artisti dovrebbero impadronirsi del pianeta, perché sono i soli in grado di far accadere qualcosa.”

 

Continuo a seguire il filo degli ascolti musicali per il motivo che ho già indicato: perché il rock ci ha salvato la vita. Per evidenziare il filo di questa sopravvivenza.

Anche nella biografia e nell’Opera di Dylan, in quei mesi c’è la stessa atmosfera di metamorfosi. Morte, resurrezione, almeno ci si prova. Accuse di tradimento della giusta causa. Correttezza e scorrettezza politica.

Ci sono tra i miei amici ancora persone convinte che il “vero Dylan” era quello dei primi anni. Cerco di rispettare tutte le convinzioni ma questa è difficile. Lasciamo andare!

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Il ragazzo poteva sgranare il rosario strampalato, allucinato, di Mr Tamburine man (fosse anche uno spacciatore, quel mister) ma il tutto avveniva sotto la tenda della causa del radicalismo americano. Con la benedizione del buon Pete Siger che dopo averlo presentato siede alle spalle, di fronte al pubblico e il ragazzo canta con compiutezza e precisione invidiabile (i suoi fans presto la rimpiangeranno) scandisce bene le parole della sua canzonetta, con i custodi del “politicamente corretto” alle spalle. Sotto la giusta tenda. Le sue canzoni sono intese come “canzoni di protesta”.

Parlando di Mr Tambourine man, qualcuno non ha perso l’occasione di saperla lunga, malignando che …forse quel mister era solo un spacciatore di passaggio! Ma di questo non si fa la storia dell’arte mentre quella canzonetta è entrata di prepotenza nella storia dell’arte.

Sarebbe significativo confrontarla con il Cantico dei drogati in Tutti morimmo a stento. Per misurare lo spazio tra ciò che muore e ciò che rinasce. L’idea di “droga” al di qui o al di là della sopravvenuta cultura psichedelica.

Questo confronto spiega perché io sia migrato verso la musica d’oltre-oceano o almeno d’oltre-Manica. L’ Italia ri-cominciava a cantare Bandiera Rossa, l’internazionale, Morti di Reggio Emilia, con tutto il rispetto… Woodstock è stata un’altra musica ed io l’ho sempre preferita! E’ lei che mi ha salvato la vita.

Ma negli anni successivi la biografia dylaniana vede ancora in causa la polarità morte resurrezione.

Per il mitico incidente di moto in seguito al quale pare abbia rischiato la tetraplegia!

 

 

Così da Blowin in the Wind a Like a rolling stone qualcuno ha avuto da ridire che Dylan non fosse più lo stesso.

Il mutamento era già avvenuto in “Another side” ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.  Il sintomo fu l’uso della chitarra elettrica. Che a quei tempi il menestrello di Duluth suonava davvero male.

Beh, l’eventuale “corruzione” di Dylan è la questione più scema che la critica musicale possa sollevare.

Io non me la sono mai posta e vivo tranquillo ascoltando tutto Dylan da sempre e comunque.

Riconoscendo nella sua improponibile vocalità gutturale, la fonte, la scaturigine del canto di Orfeo. Ma anche la Bibbia e molto altro. Che pasticciasse con la Lyra elettrica era un segno dei tempi. E perché stupirsene?

Senza questo presupposto il mio Sessantotto sarebbe incomprensibile. Cercherò di spiegarvi il perché nella prossima pagina.

13 pensieri su “Il mio Sessantotto (2) Come il rock ci ha salvato la vita.

    1. Lo sento che ci sei, caro Yo! E sei più avanti di me, ovviamente, dato che sei più giovane!
      Ho letto con interesse quanto hai pubblicato su FB a proposito delle vicende di tuo padre.
      Che è un mio coetaneo, sessantottino come me!

    1. Ciao Paolo, che piacere ritrovarti e, non a caso, parlando di questi anni!
      Senti, dato che l’atmosfera è quella di un incontro tra coetanei a bere del wishkey al Roxi bar…..
      Ma ti ricordi, poco meno di una decina di anni fa, quando ci frequentavamo spesso su FB e abbiamo creato, grazie a diversi altri, un libro con interventi diversi sul tema degli Angeli….
      Che ne dici hanno lavorato bene gli angioletti? Forse sono ancora all’opera? O se ne sono scappati inorriditi.
      Formidabili anche quelli di anni!
      Un caro saluto

    1. Lieto di ritrovarti, compagno della Cattolica! Buona primavera!
      C’è una domanda in sospeso nella nostra conversazione.
      Mi chiedevi se io ero tra quei compagni che si facevano gli spinelli….
      Non ricordo se ti avessi risposto, ma credo di si!
      Ebbene si, e lo ripeto volentieri: ero tra quelli e, addirittura, me ne sono sfumacchiato uno infrangendo il regolamento, durante una delle uniche lezioni cui assistei della professoressa Sofia Vanni Rovighi.
      In quali anni si riusciva ancora a fare quello. E non ero il solo!
      Forse sto scontando ancora il peso di questi peccatucci.
      Quando non mi ricordo qualcosa, mi dico da solo che forse ho fatto troppo canne da giovane.
      Ma dimenticano le cose anche i nostri coetanei più o diversamente virtuosi.
      E’ che le cellule cerebrali siamo qui tutti per consumarcele. In un modo o nell’altro!
      Grazie di essere intervenuto.
      Spero di non averti “scandalizzato” con queste confessioni scanzonate!

  1. Ciao Francesco, grazie per questo straordinario ricordo che ho letto con passione e visualizzato come uno stupendo e delicato acquerello. Un abbraccio

    1. Grazie Manuela! Di ogni epoca della mia vita, per quanto possa aver fatto scelte discutibili, salvo almeno una cosa.
      Se sono in grado di descrivere il mio vissuto nella forma dell’acquarello, sarà merito dell’acquarello steineriano che ho militato con passione diversi anni!

  2. Io sono piu’ giovane ma posso solo condividere un ricordo.
    Come ogni estate sono a Rimini con la nonna in Hotel. Ho 12 anni e mezzo.
    La banda di ragazzi dell hotel mi accetta e mi porta con se’ al cinema all aperto a vedere un film musicale.
    Si chiama “Woodstock” entriamo a film iniziato.
    C e’ il cielo stellato di Rimini e sullo schermo Joan Baez che canta di sera nella notte di Woodstock.
    Rimango a bocca aperta per tutto il tempo.
    E’ il mio battesimo.

    1. Grazie Elisabetta, di questa toccante condivisione!
      Mi dai occasione di fare diverse osservazioni!
      Stupenda la figura della dodicenne! Spero tu abbia letto la mia pagina sulla svolta biografica dei 12 anni. Ti sta a pennello! Dopo te la linko in altro commento.
      Quanto invece al cielo stellato di Rimini (che mi ha visto frikkettone scappato di casa dormire nelle cabine della spiaggia) e a Woodstock. a Joan Baez…
      Nei mesi di cui sto raccontando ebbi la fortuna di assistere ad un suo concerto al velodromo Vigorelli di Milano.
      Aveva, oltre a tutto il resto, una chitarra stupenda dietro alla quale i miei occhi si perdevano baluginando…
      A metà del concerto scoppiò un temporale estivo con pioggia torrenziale e in pochi secondi fummo tutti inzuppati.
      Joan usò la tua chitarra come ombrello per ripararsi un po’ dalla pioggia giusto il tempo di scendere dal palco.
      Io impazzivo osservando la scena di quella chitarra allagata, per quanto ovviamente la buca fosse rivolta in basso.
      Io che grattugiavo una chitarra da quattro soldi e quando l’avevo comprata il negoziante mi aveva raccomandato di proteggerla dall’umidità!
      Ricordo ancora che nei giorni successivi in una discussione in classe (perché nel 68 se avevi insegnanti intelligenti non si gridava solo nelle piazze, si discuteva anche in classe di letteratura, storia e filosofia… si parlò a lungo animatamente di Machiavelli….
      Insomma in una di quelle discussioni raccontai che dopo il concerto di quella serata mi era venuto il sospetto che Dio esistesse.
      Ovviamente mi sbagliavo, Dio è morto, lo dice Guccini! ma i ragazzi emotivi son fatti così!
      Brindo al battesimo della dodicenne!
      Per me la categoria delle “sorelline” è una delle più sacre! L’ultimo capitolo del mio libro sull’adolescenza titola: “L’avvento delle sorelline”.

  3. Ah il tuo scritto fa rivivere i miei vissuti di ragazzina “reclusa” che, come te e tanti altri, sognava la libertà. E la mia lenta nascita e apertura…lenta lenta piena di ostacoli e di tanta gioia incoscienza e profumo del nuovo che stava arrivando.
    Grazie Francesco, grazie per tutti noi…degli anni? 50,

    1. Grazie Marina! Come avrai visto anch’io paradossalmente ho vissuto in pieno quel periodo ma da “recluso” anch’io. E’ difficile immaginarlo oggi.
      AL pomeriggio partecipavo a riunioni politiche per organizzare l’occupazione del liceo e la sera non potevo uscire di casa a 18-19 anni. Non per tutti era così ma non ero nemmeno il solo.
      La cosa più divertente fu che nella prima occupazione del mio liceo, ci asserragliamo tutti in una focosa assemblea in palestra e ci restammo fino alla prima metà del pomeriggio quando la polizia irruppe per lo sgombero. Non dimenticherò mai che davanti alla squadra di poliziotti avanzavano tre “distinti signori” con cappotto e cappello di feltro. Uno era il commissario di polizia l’altro era il padre del leader della contestazione, il terzo era mio padre e chi non fu condotto fuori dai poliziotti venne spintonato fuori a calci del sedere dal proprio padre.
      Eh si! Aveva ragione Lacan a dire che i sessantottini cercavano un Padre!

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