Tra detto e non-detto. Ecografie della pulsione, geroglifici del desiderio

Ho attraversato, impassibile, il labirinto dell’Ikea e sono felicemente approdato alla casse ma non ho voluto dichiarare il motivo, impellente, che mi abbia portato a misurarmi con una tale prova.
Vengo oggi a costituirmi. Ora vi dico. Ho deciso di cantare!

Sono stato all’Ikea per acquistare cornici e poter presentare, allo sguardo paziente di qualche visitatore, le opere grafiche schizzate dai pazienti che frequentano il mio studio.
Uno studio che è nato più di trent’anni fa per offrire un teatro a chi ci voglia provare a raccontare sé stesso.
Ma ho premesso la condizione “tra dire e non-dire” per indicare la diffidenza che negli anni ho sviluppato nei confronti di quanto in proposito ci si provi a raccontare. Una diffidenza che non riservo solo ai discorsi che ascolto dagli altri, riservo lo stesso trattamento ai racconti che io stesso somministro a me stesso.
Nelle linee di questo blog si trova traccia di tale diffidenza. L’ironia e l’auto-ironia che sovente riservo ai miei discorsi nello sforzo maieutico di trarne un senso presentabile allo sguardo dell’altro. Quello al quale, non smetto di ripeterlo, affido il mio riconoscimento.

Diciamo la verità: ci raccontiamo un sacco di storie. Un po’ di sana diffidenza non guasta.
Ho sviluppato così l’abitudine di chiedere ai pazienti una sorta di “esame di verità”! Ironico e paradossale come tutto il resto, ovviamente.
Nel corso o nell’ultimo quarto d’ora del colloquio chiedo di esprimere graficamente una traccia non verbale. Qualcosa non detta.
Ma non lo chiedo a parole. Metto a disposizione carta, matite, colore. Lasciando nel tempo trasformare il mio studio in un piccolo atelier. Per fare un po’ di spazio alla forma e al colore. Oppure esorto ad usare la mano più che la parola e il discorso.
Mi bastano pochi segni. Una traccia. Ma volentieri la mano si lancia in un nuovo racconto.
A qualcuno propongo di farlo prima, mentre racconta. Come fa chi scarabocchi su carta mentre telefona o ascolta un discorso.
Per qualcuno un suggestivo scarabocchio, per altri una estemporanea raffigurazione che completi il detto e non-detto del racconto. Lo sappiamo tutti che di alcuni racconti è più essenziale il non-detto che il detto.

Ciascuno ha sviluppato così un proprio stile che non oso a definire “artistico”. Come non oso definire i risultati “opera d’arte”. Ci ho provato però a farne una esposizione e ad offrila allo sguardo collettivo degli autori e di pochi invitati. Chiamati da me o da loro.
Ecco a cosa mi sarebbero servite le cornici acquistate all’Ikea.
Sarà che comunque ho dedicato qualche anno della mia vita formandomi nella tecnica dell’acquarello steineriano che tuttavia non esercito. Sarà che la mia prima psicanalista, quando ero ragazzo, mi abbia detto nel primo colloquio che se avessi voluto, qualche volta, avrei potuto fare un disegno ed io non ho mai osato farlo. Nevrotico e dis-grafico com’ero…
Sarà che l’analisi mi è stata presentata a suo tempo come un trattamento pluriennale intorno alla cui efficacia non avrei potuto pronunciarmi prima di averlo compiuto… Sarà che nel complesso, dopo tre anni, la trovai deludente…
Sarà che semplicemente ho coniato io stesso uno dei miei imperativi categorici e lo lascio risuonare così:

Voglio guadagnarmi ogni parcella.

E rinuncio all’arte, alla terapia artistica, forse anche al “pacchetto completo” del trattamento d’analisi… ho sempre indicato di muovermi tra psicanalisi e “psico-NON-analisi”…. Mi basta che ogni paziente, trovi in ogni colloquio il senso e il motivo di essere arrivato fin li.
Che non se ne vada con le mani vuote.
Anche se, la cosa è curiosa, nessuno mi ha mai chiesto di portare a casa il suo scarabocchio. Desiderano tutti che sia io a custodirli, nella stanza d’analisi.
Per questo, il gesto di esporli, col loro consenso, mi è apparso un gesto di restituzione dei doni. Restituzione agli sguardi dei pazienti-invitati, visitatori, per questo mi sono servite le cornici dell’Ikea.

Ho già detto di non considerare le opere esposte “opere d’arte”.
Le definirei forse “ecografie della pulsione”, “geroglifici del desiderio”.
Per questo carattere intimo non mi sento di pubblicarne nessuna, per ora. Verrà forse un tempo anche per quello.

Ma vi offro invece, col consenso di ciascuno, l’immagine degli sguardi che quelle opere hanno contemplato partecipando all’evento dell’esposizione.
Sono, ancora una volta, opera del mio caro amico Roberto Tani.
Attraverso quegli sguardi io credo che possiate vedere il riflesso delle opere esposte.
E’ l’unica cosa che io possa fare per chi non c’era.
Per chi non venga qui a scarabocchiare nella stanza dell’analisi biografica.
Per chi voglia, come recita Faber nel suo testamento, consegnare alla morte qualche goccia di splendore, di umanità, di verità.
E da questo ripartirò per una nuova riflessione che avrà il titolo che ho proposto per la mostra e che pubblicherò nel periodo pasquale.

La bellezza salverà il mondo?

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2 pensieri su “Tra detto e non-detto. Ecografie della pulsione, geroglifici del desiderio

  1. urca! ho sempre sperato di trovare un foglio e una penna a disposizione…sono arrivata troppo presto. beh sappia che il mio diario degli incontri di..”analisi biografica (?bho?)” sono due album di disegni! bell’idea quella dello scarabocchio, e la parola, in se, credo che aiuti. buone cose

    1. Cara Marta, difficile dire troppo presto o troppo tardi. E’ una fortuna esserci incontrati!
      Però sebbene la mostra sia stata smontata, qualcosa potremmo ancora ammirare, davanti a una tazza di the!
      E poi mi sembra di ricordare anche un suo suggestivo lavoro qui..!
      Ricorda?

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