Vorrei riprendere la riflessione sugli stati di coscienza di veglia, sogno e sonno profondo, iniziata in precedenti posts.
Posta la tripartizione degli stati di coscienza che costituisce una caratteristica dell’antropologia Indo-Ariana, vorrei considerare una indicazione che proviene dall’opera di Rudol Steiner e che costituisce uno dei pilastri della pedagogia steineriana (o pedagogia Waldorf).
Ho insegnato circa dieci anni in questo tipo di scuole e, per ora preferisco dire semplicemente che mi riferisco all’ispiratore di tale pedagogia. Eventualmente in futuro dirò altro.
Rudolf Steiner aggancia a questa tripartizione un’altra tripartizione che riconosce nelle funzioni umane: il pensiero, il sentimento e la volontà.
Fin qui, nulla di particolarmente originale, nel pensiero europeo.
Singolare invece il modo in cui concatena queste due triarticolazioni.
Ci indica che mentre la percezione può avvenire solo nello stato di coscienza desta, il sentimento avviene in istato sognante e, questa la nozione davvero ricca di implicazioni e complicazioni, la volontà giace nella coscienza umana nello stato di sonno profondo.
Io credo che sia assolutamente legittimo chiedere ad un uomo di essere cosciente della propria volontà, su questo si basa la società civile nata dallo sviluppo dello stato moderno in Europa nell’epoca moderna. Ma forse si tratta di una sfida.
Alla luce di questa indicazione però, come pensiamo possa avvenira una coscienza nello stato di sonno profondo?
Detta più semplicemente, siamo sicuri di poter sapere ciò vogliamo?
O piuttosto tutta la nostra biografia non è che il percorso, l’avventura di questa ricerca?
Possiamo anche pensare che la percezione, che richiede la coscienza di veglia, sia qualcosa che ci porta un’informazione che riguarda il passato. Percepiamo ciò che sta avvenendo, ciò che è avvenuto. Tutto questo viene elaborato nel nostro modo sognante che è il mondo dei sentimenti e dei desideri. Troviamo gradevoli o sgradevoli le esperienze, dolorose ma…
Non abbiamo alcuna facoltà per percepire o elaborare il futuro.
E’ come se tutta la nostra capacità di percezione fosse rivolta verso il passato. Molti filosofi moderni lo avevano notato.
E’ come se procedessimo, nella nostra biografia, camminando all’indietro.
Come se non vedessimo dove stiamo andando eppure ci andiamo.
Camminare all’indietro è un esercizio che in alcuni casi risulta terapeutico per gli insonni. Una delle paure dell’insonne può essere quella di essere portato in una dimensione che non può sapere e non può vedere. Addormentarsi implica un affidarsi.
Ma anche vivere implica l’affidarsi ad una volontà che, se vale l’indicazione di Rudolf Steiner, non possiamo conoscere direttamente perché giace in istato di sonno profondo.
Vale la pena di ricordare che Rudolf Steiner sviluppo e usò questo concetto negli anni intorno allo scoppio della prima guerra mondiale.
Un evento catastrofico e imponente di cui è davvero difficile farsi una ragione. Ci sono molte ragioni ma, nelle ultime ore, nei dintorni dell’attentato di Sarayevo, è davvero arduo raccapezzarsi.
Se è vero che la volontà giace in stato di sonno profondo, tutto ciò che noi chiamiamo la Storia (come sappiamo, si tratta di una invenzione di un greco chiamato Tucidide) non è che il cammino in cui gli esseri umani sono portati in istato di sonno. Come se camminassimo all’indietro, appunto.
La storia ci sorprende spesso con le sue svolte, ci ridestiamo improvvisamente e ci chiediamo: ma chi ha voluto tutto questo?
Non voglio tediare o angosciare nessuno.
Mi limito però a chiedermi e a suggerire una domanda semplice e complessa nello stesso tempo: “Siamo proprio sicuri di sapere ciò che vogliamo?”
E ancora: possiamo distinguere ciò che desideriamo (in sogno, ovviamente) e ciò realmente accade e sembra a volte aggredirci alle spalle provenendo da quello che chiamiamo il futuro.
Ciò che realmente ci investe dal futuro è la volontà. Quella che fa la storia.
Siamo sicuri di poter sapere ciò che vogliamo?
O viviamo, incontriamo il mondo e gli altri per cercare di scoprirlo? Per cercare di rispondere all’antica esortazione delfica: “Conosci te stesso”?
Vorrei terminare queste riflessioni ingombranti nel modo più lieve possibile. Evocando il celebre finale di un grande romanzo del Novecento: “Il giovane Holden”, scritto da Saliger, edito da Einaudi.
“Un sacco di gente, soprattutto questo psicanalista che c’è qui, continuano a domandarmi se quando tornerò a scuola a settembre mi metterò a studiare. E’ una domanda così stupida, secondo me. Voglio dire, come fate a sapere quello che farete finchè non lo fate? La risposta è che non lo sapete. Credo di si, ma come come faccio a saperlo? Giuro che è una domanda stupida!”
Un pensiero su “Sapere ciò che si vuole”
Ciao Francesco,forse farei meglio a non scrivere niente:è molto tardi e temo di non essere del tutto lucida…Tuttavia, mi sembra di aver capito che ogni tua affermazione sia rivolta a soggetti che in effetti dormono;dici che la volontà non incide nei sogni proprio perchè questi sfuggono alla razionalità che,da svegli,ci fa valutare comportamenti e loro conseguenze…Ti parlai tempo fa dei miei sogni movimentati da battaglie continue dove,intrepida,spesso imbracciavo fucili,lottavo aspramente….Ricordo con estremo dolore un unico sogno in cui ,mio malgrado,trafiggevo (pazzia!) un nemico non meglio identificato,procurandone la morte.In quell'istante io provai il dolore ed il pentimento per quel che era accaduto all'arma bianca.Conservai quella dolorosa sensazione anche al mattino.Devo dedurre che la volontà di non uccidere avesse comunque varcato i confini del sogno per procurarmi un senso di colpa così bruciante.Quindi può darsi che a volte la volontà rimanga in allerta per incidere sui nostri comportamenti anche se onirici.Ti ho già premesso che sono quasi in catalessi.Ti auguro una buona notte.Adele.