C’è un tempo e una dimensione del ricordo che non sono rettilinei, unidirezionali. Il corso dell’anno è un ciclo di respirazione, come ho cercato più volte di indicare.
C’è un tempo che porta vertigine e la sua esperienza in epoche apocalittiche come la nostra, risulta quasi dolorosa.
C’è infine qualcosa che ho incominciato a descrivere nella paginetta precedente in cui lo sguardo che guarda il mondo sprofonda nella fessura dello sguardo di un altro essere umano. Forse è una esperienza essenzialmente riservata alla relazione tra umani.
Sebbene queste considerazioni possano apparire astratte sono pervenute a me in una forma estremamente diretta e concreta. Una esperienza sensoriale e sorprendente.
Da parecchio tempo non mi riesce più di leggere. Di considerare nuovi pensieri o nuovi tipi di esperienze.
Come se di tutto ne avessi abbastanza.
Nei momenti più difficili questa sensazione mi si propone nella forma dolorosa di una noia mortale. Invincibile e inguaribile.
Da sempre più tempo però mi accade di sentire affiorare pensieri, punti di vista e immagini che appena ho sfiorato nella mia coscienza giovanile.
Oggi mi ritornano e mi sembra solo ora di comprenderle. Come se nella mia vita giovanile l’incontro con autori come Wittgenstein, Lacan o altri come Deleuze, Derrida, i migliori tra i cosiddetti strutturalisti.
Autori difficili di cui, allora, avevo forse apprezzato solo uno sfavillio più superficiale. Ora è come se mi parlassero più in profondità.
È come se il plastico di un grande paesaggio, quella sorta presepe vivente (la nostra biografia è questo), nell’immaginazione, si mettesse in moto e cominciasse a parlarmi.
Ma tutto questo, nelle ultime settimane, descritte come dolorose e difficili, settimane che hanno portato alla paralisi della scrittura, si è esteso a incontri personali. Occasionali, ma profondamente toccanti.
Per ben due volte, nel giro di una settimana, ho incontrato occasionalmente amici, persone con cui ho avuto in gioventù una relazione significativa. E questi sono solo due incontri occasionali. Di altri, desiderati e programmati, avvenuti negli stessi giorni, dirò in seguito.
Queste persone, incontrate occasionalmente, non le ho riconosciute immediatamente. Come loro non hanno riconosciuto me. Trent’anni o più, vissuti con discreta intensità, producono cambiamenti profondi.
Nel corso di una manifestazione pubblica, mi sono imbattuto nello stand della rivista Re Nudo, nella cui redazione militai con passione verso la metà degli anni 70.
Fondatori ed animatori di questa rivista/movimento erano Marina e Andrea-Majid Valcarenghi.
Marina non l’ho mai persa di vista, sebbene con lunghi intervalli. Fin dalla metà degli anni 80, ho avuto modo di riconoscere in lei una sorella maggiore, una collega che mi ha insegnato molto e che ha sempre costituito, nell’esercizio della mia professione, un solido punto di riferimento.
Di suo fratello Andrea-Majid invece avevo perso le tracce. Né avvicinarlo per caso poche settimane è valso subito a riconoscerlo.
In mezzo a una gran confusione, dovendo chiedere una informazione e, sorprendendomi di trovare proprio quello stand, decisi di chiedere proprio a quel signore. Un mio coetaneo.
Mentre mi offriva l’indicazione richiesta i miei occhi penetrarono nei suoi e, a poco a poco, nel giro di una manciata di secondi, mi resi conto che quello era proprio lui.
Non mi ero mai accorto di quanto gli occhi di Andrea fossero azzurri e sfavillanti. Come, del resto, quelli di sua sorella Marina. Ma questo lo avevo già scoperto.
Andrea era, all’epoca, molto più “militante”.
O forse non mi era mai capitato di guardarlo così profondamente negli occhi come ora che, paradossalmente, dopo tanti anni, non lo avevo riconosciuto.
Di lui siamo in molti a ricordare il borsello-tascapane militare e lo sguardo mite ma serio.
Nel giro di pochi secondi, così, mi si aprì un mondo di riconoscimento che per trent’anni era rimasto sospeso.
Come se solo ora conoscessi e riconoscessi di Andrea qualcosa che mai prima, in una frequentazione più assidua, avevo mai percepito.
Abbracciandolo gli parafrasai un verso di Dylan caro, credo, ad entrambi:
[quote align=”center” color=”#999999″]“Ah, ma eri molto più vecchio allora, sei molto più giovane adesso!”
Ah, but I was so much older then, ‘m younger than that now.
[/quote][youtube height=”HEIGHT” width=”WIDTH”]http://www.youtube.com/watch?v=e8XFIXCyB2A[/youtube]
Di Marina invece è ancora fresco in me il ricordo di una recente serata autunnale presso Philo (Scuola superiore di pratiche filosofiche).
Una conversazione in cui ci ha offerto la sua risposta alla domanda “Terapeuti perché?”.
Una serata che per me resta memorabile.
Conosco Marina abbastanza da sapere quanto sia persona riservata per la sua vita privata e quanto sia scrupolosa nell’osservazione del setting professionale.
Questo non le impedisce di aver definito (lo ricordo anni fa) la relazione analitica una relazione apparentata alla categoria dell’amore. Qualcosa in questo senso ho ascoltato più recentemente da Romano Madera.
La cosa per cui non posso dimenticare la conversazione di Marina a Philo è presto detta.
Ci ha sorprendentemente parlato di vicende così delicate ed intime della sua biografia, in relazione appunto alla sua vocazione professionale, da lasciarmi sorpreso e alle prese con una riflessione che inseguo da tempo.
Può esserci tanta intimità solo in un cerchio di persone accomunate dalla sincera aspirazione ad un comune ideale.
Si può essere così intimi solo in pubblico, solo nella giusta relazione sociale.
Anch’io mi rendo conto che le cose più intime ed essenziali per me non le condivido esplicitamente con nessuno.
Mi limito ad occultarle in queste paginette o su qualche bacheca di un qualche social network.
Fedele alla mia vocazione di blogger: colui che parla al vento e scrive sulle nuvole.
Quale maggiore intimità potrebbe esserci data?
3 pensieri su “Lo splendore della memoria – Parte seconda – (Marina & Majid)”
colui che parla al vento e scrive sulle nuvole……ma allora è una vera e propria epidemia!!
Si, cara Lele,
vien da pensare qualcosa del genere del momento che stiamo vivendo!
Una caratteristica di diversi momenti storici di cui abbiamo memoria.
Epoche che pullulano di maghi più o meno probabili o sconclusionati!
Nel cui numero comunque mi annovero io stesso 😉
Era così nell’epoca ellenistica e in qualche scorcio di medioevo.
Io però farei, in positivo qualche distinguo.
Ho ripreso l’immagine del parlare al vento da uno spunto di un autore che apprezzo molto e di cui ho già detto qualcosa: Haim Baharier. (Cfr: http://francescopazienza.it/risorgere-dal-sepolcro-di-facebook-dalle-epigrafi-di-twitter/
Quanto allo scrivere sulle nuvole il riferimento è a sistemi tipo iCloud, di cui tutti, ormai, più o meno ci serviamo!
Una nuvola che poi abita in un qualche mega-server i California.
Ieri sera, riprendendo la revisione di un testo iniziata sull’iPhone e volendola riprendere su i Pad, supporto un po’ più agevole, ugualmente poggiato sullo stesso tavolo di pizzeria, pensavo che per attraversare pochi centimetri il mio file faceva tappa in California!
Occorre però distinguere attentamente chi parla al vento o scrive sulle nuvole, accettando la precarietà, l’impermanenza conseguente, da un qualunque venditore di fumo!
Il venditore di fumo sente il soldino che cade nella cassetta, tintinna allegramente e a volte i conti tornano, a volte se li fanno tornare o meno….
Io non vendo nulla; rischio piuttosto di impersonare il ruolo di un affabulatore o di un cantastorie che in fondo non mi dispiace.
Grazie dell’attenzione!
Nel tempo d’un esistere confuso/ vivo il vuoto,/ il rumore d’ogni dire./ Ciò che siamo procede da un distacco,/ ciò che vive da un morire/ e intorno al nulla che resta sono io che non capisco / che il sole conduce ad un’immensa distanza/ e la bianchissima nave procede/ più forte del dolore che è dato.
gigi
ti abbraccio forte………..