Accompagnando i lettori ad una riflessione sul periodo adolescenziale mi piace offrire una immagine che vi propongo in forma di “storiella”.
Gli sviluppi attuali della fisiologia umana indicano che l’organismo, dalla sua nascita nel parto dal ventre materno, inizia da quel momento a rigenerarsi continuamente e sempre più autonomamente.
Possiamo pensare allora che il neonato venga al mondo rivestito da un involucro di carne ed ossa interamente generato nel corpo della madre. Nel suo organismo, nella carne del suo ventre.
Il tempo di rigenerazione cellulare dell’organismo umano è stato riconosciuto come un processo della durata massima di circa sette anni e battezzato con l’espressione anglosassone di turn-over cellulare.
Come dire che solo verso l’età di sette anni il bimbo può riconoscersi come organismo generato autonomamente nel suo processo di crescita.
A sette anni, di certo, l’organismo del bambino non contiene più nemmeno una cellula generata nel corpo della madre.
Come dire, d’altro canto, che se qualcuno di noi incontra qualcun altro oggi e lo rincontra dopo almeno sette anni, le due mani che si stringeranno non conterranno più nemmeno una cellula delle due mani che si sono strette sette anni prima. Eppure, si riconosceranno….
Ecco un caso in cui le antiche sapienze della cultura occidentale e le scoperte della attuale ricerca fisiologica, per una volta, vanno di pari passo.
Il settennio quindi, celebrato dalla antropologia steineriana (con alle spalle una tradizione tutta speciale di sacralizzazione del numero sette) non è una “fissazione” degli steineriani e degli occultisti. Che pure, è innegabile, di “fissazioni” ne hanno diverse altre!
Traendo le conclusioni di questa “storiella” possiamo pensare che il primo settennio sia il periodo in cui l’organismo che nasce con la carne della madre compie il primo periodo di rigenerazione nella e della carne propria. La seconda dentizione indica allora il pieno compimento di questo processo.
A nascere completamente, autonomamente quindi, l’essere umano ci impiega circa sette anni. E come il neonato abita il tempo della gestazione nel ventre materno, e ne viene separato solo alla nascita col taglio del cordone ombelicale, il bambino di sette anni vive un nuovo taglio di un cordone ombelicale di genere diverso.
Per descriverlo con le immagini della nostra esperienza quotidiana possiamo dire che la scolarizzazione, nella nostra cultura, costituisce l’immagine di questo secondo cordone ombelicale reciso. Il ragazzo può vivere diverse ore fuori dal nucleo familiare ma a scuola è meglio che lo accompagnino i genitori, consegnandolo ai maestri. E che lo vengano a riprendere.
C’è ancora, analogamente un terzo taglio del “cordone ombelicale” che non è difficile collocare intorno alla pubertà. I 14 anni che vedono nell’organismo il compimento della organizzazione sessuale e dell’apparato riproduttivo.
Come accennavo nell’articolo precedente nel preludio dei 12 anni, in questo periodo nasce quella cosa che comunemente chiamiamo l’anima personale, la psiche. Il modo soggettivo di riprodurre la realtà con immagini, forme e colori soggettivi. Per qualcuno una certa scena, un certo vissuto, si è colorato di rosa e di forme tondeggianti, per altri ha forme spigolose e colore scuro.
Ciascuno riflette la realtà a modo suo ma, soprattutto, ha bisogno di comunicarlo intorno a sé. Di manifestarlo come il dodicenne ha insegnato la legge ai dottori.
Ma se nel preludio dei 12 anni assistevamo ad una sorta di concepimento del seme dell’individualità, un seme che ha ancora bisogno di tempo per dischiudersi, a 14 anni il seme irrompe frantumando l’involucro e comincia ad invadere lo spazio.
Solitamente sembra che lo faccia strillando e piangendo e, appena conquistata la percezione di abitare un corpo sconosciuto alla coscienza, il primo impulso è quello di sgambettare. Agitare questi organi sconosciuti per percepirne la vita, le possibilità, le attitudini. Per poter farsene una ragione di averli.
Per quanto la fasciatura tradizionale possa contenere l’irruzione di questo impulso, se le gambette devono arrivare a sviluppare il tono muscolare che permetta la stazione eretta, occorre sgambettare.
Lo sgambettare è la frequentazione di una palestra caotica e selvaggia nella quale prendiamo coscienza delle possibilità del nostro corpo. Questo illustre sconosciuto.
Non nasciamo col libretto di istruzioni. Quello lo custodiscono i genitori e gli educatori, al riparo dalla carne e dal sangue. Lontano dal ventre.
Del resto, del libretto di istruzioni, le giovani generazioni sentono sempre meno il bisogno.
Noi lettori, quando prendiamo in mano un apparecchio, una radio o un telefonino, ci preoccupiamo di consultare il manuale di istruzione. Abbiamo paura di far subito danni.
Mettiamolo in mano ad un adolescente.
In pochi minuti, a furia di toccare, di smanettare (sgambettare…:!) lo farà funzionare prima e meglio di come ci riusciamo noi, consultando prudentemente il manuale di istruzione. La nostra Bibbia!
Se il dodicenne si accontentava di spiegare la legge ai dottori, il quattordicenne se ne infischia della legge. La vita irrompe nel suo organismo e la legge non la spiega più a nessuno, convinto che nessuno la capirebbe. Ecco la baldanza adolescenziale. Ma anche, al rovescio, l’ombra di angoscia. La solitudine.
Naturalmente tutto questo avviene come può e come riesce ad avvenire. Apparentemente in modo caotico.
Ma non vi mettereste a far fare una disciplinata ginnastica ad un neonato nel box. È ovvio.
Eppure non è altrettanto ovvio che un adolescente “sgambetti” i suoi pensieri e i suoi sentimenti.
Quelli elaborati da sé, dopo il taglio di quel cordone ombelicale.
Gli sgambettamenti adolescenziali sono comunemente delle provocazioni. Delle performance in cui i ragazzi mettono in scena il tripudio di una loro presunta autonomia. Individualità. E lo fanno quasi sempre in modo caricaturale.
E in questo ci mettono alla prova. Riusciamo a non sentirci minacciati da queste performance?
Proviamo a guardare con ordine… Ma soprattutto guardando ciascuno in sé stesso perché a proiettare sui vicini siamo tutti bravi ma non ne concludiamo mai nulla.
Comincio io, per dare l’esempio.
Io nel mio terzo settennio ho agitato il libretto rosso di Mao prima ancora di averlo letto.
Ma che bisogno c’era di leggerlo. L’espressione “Rivoluzione Culturale” non è sufficientemente eloquente?
Qualcuno è contrario ad una rivoluzione culturale?
Pochi, tra i giovani. In quegli anni, ora e sempre.
Poco importa, fatto trascurabile poi, che per noi chiamare una rivoluzione culturale, con contorni incerti ma tanto desiderati, fosse qualcosa di molto differente da quanto la Rivoluzione Culturale cinese di Mao Tze Tung ha messo in atto.
Solo molti anni dopo è venuta alla luce la realtà più tragica. In nome della rivoluzione culturale i monasteri del buddhismo tibetano sono stati devastati.
Prima ancora che se ne sia presa interamente coscienza la mia generazione verso i 30 anni ha cominciato ad ispirarsi alla spiritualità del Buddhismo tibetano.
Davvero strano che le stesse mani, debitamente rigenerate nella carne, le stesse mani che hanno agitato il libretto rosso di Mao, siano arrivate ad offrire la sciarpa bianca della mente pura a Sua Santità il venerabile Dalai Lama.
Curioso, non vi pare…?!
Memorabile poi, qualche anno più tardi, il colloquio che ebbi con un mio coetaneo nei dintorni dei nostri 40 anni. L’amico era preoccupato perché il figlio adolescente era stato sorpreso tra i Nazi-skin di una qualche curva di un grande stadio.
Me ne confidava il peso d’angoscia attendendo un consiglio competente.
Non potevo e non posso in questi casi che allargare le braccia e pensare: “Ma cosa facevamo noi alla sua età, per terrorizzare i nostri genitori ed educatori?”
L’ho appena indicato: agitavamo il libretto rosso.
Il figlio del mio amico terrorizzava il padre agitando i tatuaggi nazi-skin. Certo in altro modo non l’avrebbe terrorizzato.
Ma perché tutto questo?
Ma è semplice, a mio vedere!
I neonati sgambettano!
E non si è neonati solo dopo il parto che ci separa dal corpo della mamma. Gli amici pedagoghi delle scuole steineriane ci indicano che fino a 7 anni i bambini vivono ancora in simbiosi in quello che definiscono (con termine ripreso dall’antico Yoga indoeuropeo) il corpo eterico. Quello che traducendo letteralmente dal sanscrito il termine Prana-maya-kosha possiamo indicare come il corpo sottile, il veicolo fatto di sostanza vitale. Quello che presiede al primo nutrimento, i processi vitali legati al nutrimento e all’equilibrio bio-chimico dell’organismo.
E, aggiungerei io, fino a 14 anni il bambino cresce in simbiosi con i pensieri e i sentimenti, i giudizi della famiglia. Qui viene tagliato di nuovo il cordone ombelicale della psiche Mano-maya-kosha (il corpo-veicolo fatto di sostanza mentale).
Il neonato del corpo psichico, sgambetta! Ma per farlo non agita più le gambette. Agita le idee, i pensieri e i sentimenti.
E noi li accogliamo come pensieri e sentimenti che debbano e sappiano reggersi in piedi?
Pretendiamo la coerenza dalle aspirazioni inconscie di un neonato?
Pensiamo che il nostro adolescente sia un individuo che comincia a diventar grande?
Sbagliamo di molto.
L’adolescente è un neonato. Neonato rispetto alla terza nascita, quella del corpo psichico. Quella dell’anima individuale.
E come il neonato sgambetta, così l’adolescente agita più o meno caoticamente i neonati pensieri e sentimenti individuali.
Lasciamoli sgambettare, verso i 20 anni questo processo dovrebbe andare a termine e la tormentosa crescita fisiologica dell’individuo dovrebbe placarsi. E come un bambino sviluppa il tono muscolare per assumere la statura eretta e camminare, così l’adolescente dovrebbe arrivare alla capacità di condurre i suoi pensieri e i suoi sentimenti in modo socialmente, più o meno accettabile.
Spero di avervi dato qualche buona notizia.
L’educazione degli adolescenti è uno dei nodi che più affliggono l’umanità di questi decenni.
Ma la difficoltà più grande per gli educatori sta nel reggere l’angoscia. Lo sgambettamento psichico dei nostri adolescenti arriva a minacciare la nostra tormentata visione del mondo?
Ammesso che si sia riusciti a costruirsene una!
5 pensieri su “Lo sgambettamento adolescenziale – Psicologia dei 14 anni”
Bellissimo articolo, rende chiaro e semplice quello che semplice non è; se infatti il mondo del sentire è eo ipso il mondo massimamente soggettivo portare dall’esterno un pensare chiaro e quindi “oggettivo” è impresa ardua quanto impossibile;eppure necessaria azione di specchio per consentire all’adolescente di farsi amica la propria angoscia esistenziale, la propria incomunicabilità… penso attraverso l’arte, un atto creativo potrebbe collocarci tutti in una medesima fonte di ispirazione… luminosa e predialettica. Michele
Grazie della tua preziosa attenzione!
Raccolgo e rimando le tue due ultime parole: luminosa e predialettica!
Per queso predialettico, trovo la forza di non smettere di scrivere!
grazie Francesco, come docente ho sempre la certezza che insegnando ai miei studenti adolescenti loro educhino l’adulta che è in me e che si ispira al loro “sgambettare” per diventare grande.
Grazie dell’attenzione. Non posso che concordare!
Grazie per questa interessante interpretazione del nuovo momento di vita del ragazzo :a volte di fronte a tanto sgambettare rimaniamo paralizzati ,incapaci di riconoscere quel bambino che non c’è più .mi piacerebbe avere linee guida di comportamento per fronteggiare anche il nostro stupore e la nostra rabbia ,soprattutto quando fra noi e l adolescente cala un muro che non riusciamo facilmente ad abbattere .qual è il modo migliore per aiutarli ?lasciarlo andare fino a che punto è giusto ?quali sono i confini fra il seguire e il trascurare ?grazie