La compianta Susan Sontag, in una delle sue ultime opere Sulla fotografia ci consegna una immagine memorabile. A suo vedere le truppe di esseri umani giapponesi che giungono in Europa con le grandi organizzazioni turistiche e visitano i luoghi significativi della nostra storia, di fatto, delegano alla macchina fotografica (oggi la chiamiamo “foto-camera”) la possibilità di fare una esperienza. La rimandano a un dopo. Ad una rivisitazione domestica, condivisione di diapositive con amici, catalogazione in album chissà….
Vorrei esortare a non banalizzare la cosa.
Come psicanalista che si sforza di lavorare fuori da approssimazioni, forzature, schematismi a buon mercato, ho sempre nutrito il massimo rispetto per i meccanismi di difesa.
Vanno considerati una sorta di impianto, di dispositivo salva-vita.
Ci sono luoghi che ho visitato in vita mia che hanno avuto su di me un impatto così forte da dovermene difendere.
Così quello che considero il maggiore tra gli scrittori giapponesi, Yasunari Kawabata, (consideriamolo il nonno della miglior Banana Yoshimoto) fa eco in questo colloquio, offrendo l’immagine del protagonista de “Il paese della nevi”, il sublime Shimamura. Fine intellettuale, divenuto come critico, uno specialista di una disciplina cui può accedere solo mediante immagini riprodotte. La danza occidentale europea. Non avrebbe potuto assistervi direttamente.
Una leggenda significativa della mia biografia che ho condiviso qui con voi per il Natale scorso, racconta come io stesso abbia preferito l’immagine dell’albero di Natale riflesso attraverso le immagini di un vetro smerigliato intravisto dal corridoio rispetto alla sua presenza reale nella sala da pranzo.
Ho sollevato questo lungo e delicato discorso per mostrare, se ce ne fosse bisogno, che la relazione tra una cosa e la sua immagine può non essere così banale, immediata, meccanica.
Sebbene ci stiamo avvezzando alla foto digitale, la storia della fotografia conserva ancora la memoria di quel qualcosa che è stato definito con il termine suggestivo di camera oscura.
Analogamente i termini di sviluppo e fissazione di una immagine su una pellicola sono concetti che portarano con sé un potente contenuto di retro-terra immaginativo.
Si parla qui di quella pellicola che nell’animo umano si sviluppa in quel liquido che scorre nelle nostre vene.
Chiamiamolo sangue. Il filo di questa pellicola attraversa il nostro cuore e vi palpita. Seleziona e definisce (sviluppa e fissa appunto) le immagini dei nostri ricordi che costituiscono il film della nostra biografia.
Tutto questo processo, di cui ci occuperemo nelle prossime settimane, è la respirazione delle immagini.
Siamo entrati nella camera oscura di cui già avevo accennato a S. Martino in un post che indubbiamente è apparso stralunato (e lo era!).
L’inverno è la camera oscura in cui si sviluppano e fissano le immagini che, grazie alla luce del sole estivo abbiamo “in-camerato” durante l’estate. “Camera segreta de lo core” nella VITA NOVA di Dante ma anche foto-camera per tutti noi oggi per noi.
Stiamo sviluppando e fissando i ricordi e le immagini dell’estate. Camminiamo a larghi passi verso l’insiprazione del solstizio d’inverno (cfr. Respirazione della terra)
Ne riparleremo presto.
Dedico questo post ad una signora giapponese e ad una europea: Tomoko Mizu e Monica L.
P.S. Solo dopo aver deciso la dedica a Tomoko, consultando il suo profilo FB, ho trovato la meraviglia di immagine che pubblico, ringraziando anche Margherita Mottana.
Mi pare abbia notevoli attinenza con ciò che avevo già scritto, considerando che, rispetto alla Terra, la Luna è dispensatrice notturna di luce riflessa. Per l’immagine grazie, ovviamente, al fotografo Laurent Laveder