Il libro rosso di Jung (1)

Il libro illeggibile richiama non-lettori.

Quando la vertiginedeltempo è arrivata, ho perso la facoltà di leggere.
Ho passato qualche mese in ospedale.
La cosa più banale che si possa dire a chi abbia trascorso mesi in ospedale è “chissà quanti libri hai letto”.
Forse si legge in un breve soggiorno. Operazioni d’appendice!
Ogni volta che, in vita mia, sono stato seriamente malato non ho mai letto un libro.
In ricoveri lunghi, il romanzo diventa la tua vita. La saggistica i tuoi pensieri. Il giallo la cartella clinica. Come sopportare il dolore se non rintanandosi in sé stessi? Concentrandosi in sé.
Questa, almeno, la mia modalità. Forse oltremodo introvertita ma, tant’è…

A questa vertigine sono giunto, come per ogni vertigine ben acquisita, a piccoli passi progressivi.
Ne ho anticipato qualcosa in una pagina sugli occhiali.
Ho tentato di resistervi in molti modi. Ho cercato di correggere il difetto ma anche qui, da diversi anni coltivo la vocazione a non correggere i miei difetti.
I risultati sarebbero pietosi.
Un po’ di coraggio e non è difficile scoprire l’altra via. Quella di perfezionare i difetti. La pulsione a renderli sublimi. Anche di questo ho annotato qualcosa in Quaderno d’accidia.

Negli ultimi 20 anni i miei migliori interlocutori li ho trovati tra gli psicanalisti junghiani. Tuttavia, mentre in gioventù ho sviluppato una discreta conoscenza delle opere di Freud, la lettura di Jung è sempre stata ostica per me. Non sono il solo a rilevarlo. Tra il mondo freudiano e quello junghiano solo un gigante come James Hillman poteva gettare un ponte.
Io ho attraversato quel ponte ma di Jung non credo di aver letto più di un paio di centinaia di pagine.
La mia conoscenza della psicologia del profondo è avvenuta nell’incontro con colleghi e nella discussione di casi. Nel Circolo della via Podgora a Milano.

Da qualche mese sono stato accolto come membro ordinario nella Società per l’Analisi Biografica a Orientamento Filosofico il SABOF intorno a Romano Madera, docente di filosofia morale presso l’Università Milano Bicocca.
Lì, di nuovo, si legge Jung e anche Pierre Hadot. Sento parlarne con competenza.
Spesso mi sento a disagio, per aver letto Jung così poco, ma riesco quasi sempre a seguire il filo delle riflessioni comuni.
E’ in questo ambito che si è svolto un convegno, una giornata di studio. Fin dalla preparazione di questo convegno sentii parlare di questo evento. La pubblicazione del “Libro Rosso”.

Appena cominciai a sentirne parlare, avvertii con sempre più chiarezza che questo libro esercitava su di me una curiosa attrazione. Sentivo provenire da lui una sorta di sfida.
Chiesi ripetutamente se, per caso, per uno che non avesse ancora trovato la via per penetrare nel cuore dell’opera junghiana potesse essere un percorso inedito. Questo mi sembrava di intuire, ma quasi tutti scrollavano il capo.
Dicevano trattarsi di qualcosa di troppo particolare. Molti hanno nutrito e nutrono dubbi persino sull’opportunità della sua pubblicazione.

Il Libro Rosso, anticipo la conclusione cui pervenni, è da considerarsi un libro illeggibile. L’autore lo sottotitola Liber Novus.
La novità davvero tale, è spesso indecifrabile alla lettura. Molti ne parlavano come di un libro illeggibile e difficilmente maneggiabile.
Il libro illeggibile richiama i non-lettori.
Ecco cosa mi pareva di intuire.

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