Ho resistito al Natale. Ho resistito alla Pasqua. Se la Resistenza è un valore, ho resistito anche alla festa della fantasia di Liberazione il 25 di aprile. Piccola o grande Liberazione che sia.
Mi arrendo al Primo di Maggio. Vengo a costituirmi.
Mi arrendo alla sacralità del lavoro. A questa non so resistere.
Non ho scritto. Ho resistito persino allo scrivere. Mi restituisco per poche ore poi tornerò nel silenzio che ho scelto.
Ho smesso di scrivere nel modo in cui ho scritto finora.
Dal primo di maggio, raccolto nella considerazione della sacralità del lavoro, mi sono chinato come un giardiniere sulla pianta cresciuta in questi anni.
Questo sito in cui mi leggete.
Questo organismo che è entrato nel settimo anno e comincia a perdere i denti da latte.
In questi mesi ho sofferto. Come tutti del resto. È lecito dichiararlo senza piagnucolare? No, perché non lo dicono in molti! Tutti si lamentano ma alla dogana non lo dichiarano.
Soffrire è un tributo. Si paga anche volentieri per partecipare al magico gioco della vita.
A volte ci sentiamo servi della gleba tartassati da un qualche signorotto che esiga tributi.
Spesso questa imposta ci appare troppo alta.
Sembra che il gioco non valga la candela.
Ma cosa ho visto chinandomi a visitare la pianta? Il mio lavoro di questo ultimo settennio qui.
Nei corsi di biografia umana parlo del settennio del tempo vissuto come un turnover cellulare.
In sette anni la materia del corpo si ricambia completamente. Occorre che tutto cambi…
La mano che scrive oggi non contiene più una molecola della carne e delle ossa di cui era costruita la mano che ha iniziato a scrivere sette anni fa.
Ma continuerà a farlo. La questione dello stile si gioca a partire da questo.
Guardando la pianta da vicino, mi sono accorto che negli snodi essenziali ho trovato sempre la parola “silenzio”. Almeno tre volte.
Ho scritto finora così grazie all’esperienza che descrivo nella pagina più antica pubblicata qui. Il silenzio degli insegnanti.
È stato quel silenzio che ha messo in moto la mia scrittura.
Solo quando cessava quel frastuono dell’insegnamento, lo stridore della macchina delle lezioni che tanto mi opprimeva, nel silenzio dell’insegnante, durante il compito in classe di italiano trovavo le condizioni per dire qualcosa. Provavo a scrivere nel modo che ho descritto.
Ma un altro silenzio, collegato al primo, la cui memoria affonda nei ricordi della scuola elementare. Quell’edificio in via Bergognone a Milano in cui ho imparato a scrivere e in cui 50 anni dopo ho frequentato la sera l’ultimo corso di scrittura creativa. Nicodemo andò da Gesù di notte (Giovanni 3). Così le spirali del mio tempo vissuto tendono a chiudersi. Le cose ritornano a posto e si può chiudere il libro. Dobbiamo rinascere da adulti. In silenzio.
Il silenzio degli insegnanti che mi ha insegnato a scrivere ha ceduto il passo a Il gioco del silenzio.
La pagina in cui descrivo come, appena cominciato a frequentare ritiri di meditazione nel silenzio, ho ritrovato la memoria rovesciata del gioco del silenzio.
A scuola si voleva parlare, nessuno voleva stare in silenzio, mentre in ritiro si offriva il Silenzio al dio del silenzio e lo si faceva per Amore. Non con la costrizione malcelata da un gioco. Pure competitivo! Ruffiano e disgustoso.
Infine pochi mesi fa, ho creduto di riconoscere dei Segni nel Tempo. Ho scritto delle Tre sepolture.
Io non potrei scrivere così se non custodissi nel cuore la poetica di Dylan e di Cohen.
Quanto a me, la svolta che mi avvicina più ai 70 che ai 60 anni è un tornante da cui sento non si transiti facilmente senza perfezionare l’arte del lasciare andare. All’opposto del Tycoon col suo ciuffo riportato e biondo. Riportato biondo.
Dell’Arte di lasciare andare sento parlare da più di trent’anni. Ma prima, da giovane, suonava come una esortazione morale, nel migliore dei casi una proposta di esercizio spirituale.
Ora mi appare come una necessità irrinunciabile per transitare da certi varchi del tempo.
Ma che cosa ha prodotto in me questo cambiamento di punto di vista?
Mi sono chiesto che cosa stessi facendo ed ho trovato di nuovo Il dono del silenzio.
Ho trovato il dono del silenzio come risposta al fatto che quanto andavo scrivendo d’impulso mi appariva velenoso e febbrile.
E non sempre i veleni curano. Occorre un lungo lavoro. Il lavoro del silenzio. Lo stesso dell’analisi biografica per distillare medicine dai veleni.
Così mi ero trovato a scrivere a proposito delle elezioni americane intrecciando la memoria di John Kennedy, Marilyn Monroe poi Bill Clinton, Monica Levinski, Hilary Clinton. Stava uscendo un film su Jacqueline e Carlo Conti minacciava si portare Melania Trump al Festival di Sanremo. Lo aveva annunciato una testata come “La stampa” non rotocalchi di pettegolezzi. Ho salvato i links!
Giocavo a intrecciare le storie e la fantasia con la realtà, allusioni, analogie ma… a che serve tutto questo? Perché lasciar circolare veleni? Che cosa ho imparato nell’addestramento meditativo a proposito della “retta parola”. Uno degli anelli del Nobile Ottuplice Sentiero.
Così ho sacrificato diverse paginette e ho fatto spazio, nel mio cuore, al laboratorio che distilla medicina dai veleni.
Ho scelto di ritornare a donare il silenzio nell’esercizio della meditazione.
Non ho mai smesso di meditare ma da 25 anni non aprivo più una stanza di meditazione. L’ho riaperta. Ogni martedì sera a Milano.
Così non smetterò di scrivere ma sto cercando un modo nuovo.
Vi racconterò altro la prossima volta.
La ricreazione è finita.
Suona la campana.
Come nella stanza di meditazione.