Il desiderio di fumare tra fumo e fuoco. Il fuoco come espressione del desiderio. Il fumo come traccia dell’esistenza del fuoco. La psicanalisi come indagine sull’enigma del desiderio.
Io non sono un fumatore se non occasionalmente.
Lascio che in casa mia gli ospiti (e lo fanno sempre) si affaccino al balcone a fumare. Il fumo di sigaretta effettivamente lascia cattivo odore.
Non di meno provo compassione per i fumatori che negli ultimi anni han vita così dura nei locali pubblici.
Sicuramente si tratta di una mia contraddizione e la riconosco. Ho scritto però anche un Elogio della contraddizione.
Una contraddizione del mio sentire sta nel fatto che sebbene non gradisca il fumo di sigaretta in casa mia, provi però sentimenti di tenerezza quando penso ai cinema della mia giovinezza in cui era possibile fumare. Ambienti suggestivamente fumosi!
Magari guardando un film americano in bianco e nero in cui si fumava e si beveva whisky. Alcool come acqua infuocata. Acqua combustibile. Non spegne il fuoco, lo alimenta. Fuoco su fuoco.
Fumo su fumo. Già il cinema è…. fumo. Apparenza. La più grande illusione della nostra epoca prima della televisione.
La grande illusione che ci porta a ipnotizzarci. A contemplare giochi di luci, in fondo ombre cinesi, e di vederci il principe Amleto o Demi Moore! Non ha torto chi attribuisce l’invenzione del cinema a Platone e alla sua caverna. Ma ancora più in là io penserei alla teoria dei Triguna nella filosofia indiana. Non trovo un link sintetico sull’argomento. Dovrò dedicarvi una paginetta in futuro.
Comunque guardare un film avvolti nel fumo significa per me aggiungere fumo a fumo. Scomparire felicemente.
Ma dove sta il fuoco? E perchè lo si accende?
E’ quello che mi chiedo da anni riflettendo sul fumo di sigaretta. Il tabacco non ha, diversamente dalla cannabis o altri stupefacenti, alcuna immagine tossicologica molto definita. Chiedete ad un fumatore cosa sente quando fuma una sigaretta. Qualcuno vi dirà che rilassa, qualcun altro che dà un po’ di carica.
In realtà il tabacco era fumato nelle cosiddette società primitive come una operazione rituale. Il calumet della pace dei pellirossa.
Nemmeno le riflessioni che riconducono il vizio del fumo a qualcosa che riguardi la sfera orale mi hanno mai convinto.
Non è questione di suzione.
E’ questione di accendere un fuoco e aspirarne il fumo. Quasi una assunzione omeopatica del fuoco.
Io credo che di fuoco abbia bisogno chi accende una sigaretta.
Di un rito privato del fuoco.
In un memorabile racconto di Mircea Eliade intitolato Nozze in cielo (introvabile per anni, scopro ora una ristampa del ’96 reperibile on line) c’è una situazione emblematica. Due uomini condividono la loro solitudine conversando e raccontandosi per una notte intera. In realtà scopriranno solo alla fine di parlare delle stessa donna.
Tra loro l’unico testimone nel buio, la brace di una sigaretta continuamente accesa.
Focolare, braciere, unico elemento di calore condiviso nel freddo della solitudine.
Io comunque preferisco qualche volta la pipa. Nei momenti peggiori un mezzo toscano! L’ultimo l’ho fumato affacciato alla finestra aperta in un corridoio secondario della casa di riposo in cui ho accompagnato mia madre alla soglia.