Negli anni in cui ho insegnato al liceo “Rudolf Steiner” di Milano, ho provato a presentare ai miei allievi l’immagine di quelli che consideravo i creatori dell’orizzonte a cui stessero per affacciarsi. Ho sviluppato allora diverse presentazioni e conversazioni per portarli ad incontrare personaggi come Freud, Marx, Nietsche, Wittgenstein, Proust, Rilke, Pasternak. Opere e biografie emblematiche. Istanze che definiscono la fisionomia del secolo.
Mi resi conto ben presto che nessuno di costoro era facilmente indicabile come un individuo particolarmente “presentabile in società” o “normalizzabile”. Grandezze irriducibili alla comune misura. Follie debordanti. Dolori incontenibili. Esplosioni di malattia.
Ma mi resi conto anche che, per la maggior parte di loro (esclusi i poeti), per i costruttori di grandi tendenze, era difficile ravvisare linee chiare di trasmissione. Spesso la linea di discendenza si frammentava, alla loro morte scoppiavano controversie imbarazzanti.
Qualcosa di ancor più drammatico è avvenuto nel caso di Nietzsche. Si è cercato di depistare il senso della sua opera fino a pretendere di vedere nel Superuomo (o Ultrauomo, come si preferisce chiamarlo oggi) lo stereotipo dell’eroe nazionalsocialista. Opera tentata dalla sorella e, per la prima volta, denunciata dal giovane Rudolf Steiner, che, ingaggiato da essa per essere edotta intorno all’opera del fratello, rimise ben presto il mandato. La vicenda è ben ricostruita da Massimo Fini nel libro che amorevolmente dedica a Nietzsche.
Osservando in modo accurato la biografia di Wittgenstein (Ray Monk lo ha fatto in modo esemplare) scopriamo che assistette una sola volta ad una riunione del Circolo di Vienna e che tornando a casa la sera affidò al suo quaderno una nota in cui dichiarava che costoro non avevano capito nulla! Si ispiravano al Tractatus che, quando Dio volle che vide la luce, per mano di Russel che ne curò l’introduzione, Wittgenstein era già molto lontano. Nemmeno Russel aveva capito nulla vergando quella introduzione!
I grandi maestri hanno sempre cattivi discepoli. Nessun discepolo riesce mai a sviluppare ulteriormente l’opera del maestro. Più che comprensibile, del resto, per individui di tal calibro! Scoppiano (e sono fenomeni caratteristici del secolo) diatribe sanguinose, veri e propri scismi sulla giusta interpretazione e continuazione dell’opera del maestro.
Naturalmente nessuna di queste discussioni ha mai suscitato più di tanto il mio interesse.
In questo mi sento felicemente strutturalista.
In tutto questo penso, strutturalisticamente, che l’opera dei grandi maestri (forse gli ultimi) siano i loro testi. Questi testi come le opere immortali di tutti i tempi non smettono mai di produrre nuove interpretazioni. Di provocare nuove domande. La loro forza sta piuttosto nel tollerare le interpretazioni più disparate, continuando pacificamente a dimorare nell’incisione del testo. Nella lettera piuttosto che nei movimenti che supponevano di creare i fondatori. Tantomeno nelle correnti che in loro si riconoscono. Il destino degli ultimi immortali.
L’opera di Marx non è l’edificazione e la direzione del movimento operaio, analogamente all’opera di Freud per il movimento psicanalitico. Wittgenstein non è neopositivista e non è il fondatore del Circolo di Vienna!
Analogamente per figure come Gustav Jung, Rudolf Steiner, ma moltissimi altri (parlo solo di coloro che conosco meglio).
Penso anche, in oriente, a Krishnamurti e ad Aurobindo.
Krishnamurti fu allevato e orribilmente tormentato quale fanciullo divino dalla Società Teosofica. Appena giudicarono che fosse in grado di presiedere l’istituzione preparata apposta per lui, il primo atto che compì fu quello di scioglierla! La chiamavano se non ricordo male “L’ordine della stella”.
Aurobindo, un po’ come Siddharta, viene allontanato dalla cultura indiana per ricevere la miglior educazione europea in Inghilterra. Il padre voleva che non assimilasse la cultura indiana, desueta e spiritualeggiante. Torna con risultati eccellenti ma torna e scopre la sua India. Ne rimane ammaliato. Ne assimila la cultura e la riformula alla luce dell’esperienza europea.
Approcci ardui per un epoca che ha la vocazione alla comunicazione ma che, inevitabilmente, rischia di perdere l’approccio alla complessità.
Permangono ancora in questa ostinazione figure come quella di George Steiner, Edgar Morin, Harold Bloom, Hans Magnus Enzensberger, ma sono relativamente poco “popolari”, di difficile approccio, appunto. In fondo eccezioni in un epoca che va in direzione ostinata e contraria (come direbbe Faber!).
Quale il destino dei giganti del ‘900?
In questo senso non ho mai capito come si possa dire che la caduta del muro di Berlino segni la fine del socialismo.
Non esiste ora uno stato al mondo la cui Costituzione non risenta fortemente di elementi di socialismo come anche di liberalismo.
Nessuno senza un sistema sanitario o una scuola pubblica, più o meno estesi o articolati.
Nessuno senza una possibilità di libera concorrenza.
Socialismo e liberalismo sono disciolti in questa soluzione globale.
Al di là degli evidenti deliri pansessualistici del vecchio zio Sigmund (Freud), non esiste approccio psicoterapeutico che non riconosca il ruolo della parola e del colloquio nella cura dei disturbi del comportamento. La cosa veramente scandalosa in Freud non era la teoria sessuale, ma quella che lui stesso definiva la talking-cure, il curar-parlando. O funziona o resta pura ciarlataneria!
Lo strutturalismo, che pur ha un ruolo così importante nella cultura del XX secolo, dichiara il suo fallimento, per bocca dei suoi più onesti esponenti, perché non riesce a decifrare il mistero del senso. A mio modestissimo avviso è superato prima ancora di cominciare dalla teoria dei giochi linguistici di Wittgenstein. Eppure, in qualcosa, anch’io mi son definito strutturalista.
Le questioni per cui Nietzsche si è giocato l’integrità mentale, sono in buona parte state poste e costituiscono la geografia del territorio in cui camminiamo. La percezione della morte di Dio, pur all’interno dell’esercizio di una fede religiosa, è a disposizione di chiunque abbia il coraggio di guardare in questa direzione.
Sembra quasi che tali maestri non abbiano (o non abbiano più) bisogno di discepoli.
Questo in Nietzsche è stato espresso in modo molto esplicito.
Essere discepoli di questo o quel maestro di pensiero oggi è davvero sospetto.
Sembra piuttosto che gli accaniti discepoli di un maestro siano attratti dai punti più deboli e controversi della sua opera. Dalle inevitabili ombre presenti nell’opera del maestro.
Si può pensare però che ogni maestro, in qualche modo, abbia i discepoli che si merita. Sembra che tante siano le “ombre” tanti siano i discepoli.
E siccome tali personaggi, l’ho premesso subito, mi appaiono anime particolarmente abitate da ombre, ecco che immediatamente vengono evocate, come magicamente, quasi per effetto della recitazione di un mantra, turbe, un po’ demoniche, di petulanti discepoli.
Nel XX secolo tutto questo però, mi pare abbia toccato punti di non-ritorno.
Con l’ingresso nell’epoca postmoderna mi pare che qualcosa di sostanziale sia cambiato.
Innanzi tutto perché non vedo intorno a me grandi maestri. Ma nemmeno grandi personaggi.
E’ piuttosto evidente tanto nella politica quanto nell’arte e nella cultura…
Assistiamo però ad una molteplicità, ad una disseminazione di onesti ricercatori. Sono veramente tanti.
Da che mondo è mondo il ricercatore ha bisogno di maestri.
Leggere i grandi maestri del passato, anche solo quelli citati, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, diventa ogni anno più difficile. Così intorno a noi abbiamo molti “maestrucoli” della cui genialità, a volte, è difficile farsi una ragione.
Preferisco non far nomi perché, sicuramente, ferirei la suscettibilità di qualcuno. D’altro canto, l’ho già detto, abbiamo bisogno anche di maestrucoli.
Intorno a questi, invece, mi pare, e lo vado osservando da diversi mesi, che il teorema si capovolga.
Spesso, da un certo punto di vista, i sinceri ricercatori, debolmente guidati dai maestrucoli, si rivelano migliori di loro.
Avendo conosciuto abbastanza da vicino qualche maestrucolo, dichiaro pubblicamente di preferirne i discepoli. Sempre persone migliori di loro. I maestrucoli hanno discepoli che in un certo senso non si meritano.
Ma va bene così, questa epoca gira così e non gira poi così male come ci sembra!
Vorrei sospendere per un attimo il filo del discorso.
Lo vorrei sospendere sul filo di un riferimento evangelico. Misterioso quanto il Cristianesimo stesso. Non lo riconosciamo perché viviamo in uno stato che lo elegge a religione di stato.
Il dettato evangelico è costellato di una figura del discorso in cui, quando viene chiesto a Gesù chi egli sia, se sia realmente il Messia, il Figlio di Dio, sistematicamente la risposta è del tipo “tu lo hai detto” o “chiedetelo a loro”, rivolgendosi ai discepoli o comunque a ciò che da lì in poi riceve l’epiteto di “prossimo tuo”.
Non so se mai si sia riflettuto abbastanza a fondo sulle implicazioni di ciò. Ho trattato ampiamente la questione in un pagina che ha per oggetto “Il Battesimo sul Giordano” presente in nellacurvadeltempo.
Si tratta qui accettare la dura legge secondo cui il soggetto non si definisce né riconosce attraverso le proprie aspirazioni o comunque secondo lo stesso sguardo grazie al quale ha scritto il proprio testo.
Si tratta in parole povere del fatto che se il discepolo non capisce, il maestro comunque ha fallito. Tale conclusione non va usata selvaggiamente come un arma. Costituisce comunque la più chiara enunciazione della reciprocità che fonda la possibilità di una reale socialità.
Ma rimettiamo a dormire il fanciullo e riprendiamo il discorso.
Mi è capitato in questi ultimi due anni circa, di trovarmi in un certo imbarazzo perché persone che stimo profondamente, uomini dal limpido anelito alla conoscenza, gente che ha compiuto imprese morali importanti, son venute a propormi la lettura di un libro o la partecipazione a un seminario di qualcuno che considero un maestrucolo.
In questi casi rispondo esplicitamente con qualcosa del tipo “mah se me lo proponi tu, posso considerarlo”. Dentro di me penso però che quell’uomo non si renda conto di essere più apprezzabile del maestrucolo.
Naturalmente potrei sbagliarmi. Ma non ho più voglia di ascoltare enunciati generici che, per sembrare sintetici ed ispirati, risultino alla fine semplicemente banali.
La complessità del post-moderno non si aggira a così buon prezzo, glossando vecchie formule. Altra la sapienzialità che ci serve.
Ci servono piccoli uomini che facciano piccole, grandi cose.
Solo nella sottolineatura di questo “fare” può risuonare l’adagio marxiano secondo cui il compito attuale della filosofia non consisterebbe nell’interpretare, ma nel cambiare le cose.
Frase scivolosa che facilmente potrebbe ed ha indotto in spaventosi equivoci.
Allora facciamo pace col fatto che i buoni maestri sono solo quelli che formano buoni discepoli e che sono i discepoli che ci servono. Il Cristianesimo dovrebbe essere la religione del Figlio.
E’ solo per una spaventosa anomalia della curva del tempo che nel XX secolo non ha potuto essere così. Forse viviamo davvero in una sorta di Apocalisse. I maestri hanno dovuto lacerare una soglia spesso ferendosi o soccombendo, ma a me pare che il muro abbia cominciato a sgretolarsi.
Ora ci servono i manovali.
Che, allo scoccare del primo decennio ci si possa ripetere con fiducia: buon 21° secolo, amico mio, il 20° fortunatamente è alle spalle.
Questa pagina è particolarmente dedicata a lamentesonoio. Traccia il contorno della mia gratitudine per il lavoro di incoraggiamento nonché di blog editing/design.
E’ dedicato anche a diversi amici, buoni discepoli di maestri così e così che riceveranno questo affettuosissimo messaggio in bottiglia direttamente nella propria casella postale!
Certo i buoni discepoli di maestrucoli, sono infinitamente di più. Meno male!!!