Agli amici che non erano presenti alla performance teatrale annunciata nell’ultima paginetta, offro qualche nota dal backstage dell’evento.
LO SCHERMO INCRINATO, LO SPECCHIO.
Appena arrivato a Chiesa Rossa (suggestiva la metamorfosi di una antica cascina in biblioteca comunale) ho trovato un pavimento lastricato da larghe porzioni di pietra antica.
L’impatto tra il mio telefono scivolato dalle ginocchia e quella nuda pietra ha provocato una incrinatura dolorosa del suo schermo, prezioso.
Lasciamo andare l’agopuntura in quel punto sensibile della carta di credito… L’incrinatura di quello schermo mi ha colpito e fatto riflettere.
Per un analista biografico non è sufficiente giocare a figurine coi miti, con gli archetipi dell’inconscio collettivo che si lasciano intravedere nella narrazione biografica.
È chiesto, e lo chiedo prima a me stesso, di decifrare le immagini che ci toccano più da vicino, più a portata di mano. Quelle che ci toccano singolarmente. A fior di pelle.
Che cosa significa incrinare lo schermo del telefonino? Rompere uno specchio. La finestra dentro cui scrutiamo di tutto. Le vicende della Greek-exit, gli umori di Putin. Ma anche le gesta degli amici lontani. Nello spazio e nel tempo.
Se ha ragione Marshal McLuhan, I media sono prolungamenti del nostro corpo, in questo caso, del nostro sistema nervoso.
GUARDARCI-DENTRO
Mi ero reso conto, in quei giorni, che quel guardare-dentro aveva preso una brutta piega.
Vivo prevalentemente in casa e le mie finestre, da un mese, invece di offrirmi l’immagine delle piante del parco e del cielo, risultavano letteralmente impacchettate. Una impalcatura metallica ricoperta da una sorta di pacchetto di plastica teso. Tipo la plastica a bolli per imballaggio. Stanno rifacendo la facciata e mi sono sorpreso più di una volta a scrutare il cielo, che non posso vedere, dallo schermo del telefonino. Grazie all’applicazione Meteo. Per vedere che tempo che fa.
Una delle pagine più antiche, pubblicata qui, recita qualcosa che merita di essere riletto e commentato a distanza.
[quote align=”center” color=”#999999″]Se devi comunicare qualcosa telefoni.
Ma quale dio vendicativo ha inventato i messaggi sul telefonino?
Un dio calpestato si è indignato e ha punito i ragazzi e gli adulti rimbambiti non solo facendoli scrivere, ma facendogli scrivere quelle cose.
Come se non bastasse, facendogliele digitare sulla tastiera del telefono.
Un vero supplizio!
Ma è forse Prajapati questo dio, lo scrivano del Mahabarata?!
Dev’essere lui anche che ha seminato la tastiera tra il mio monitor ed il mio cuore. Dev’esser lui che tra telefonini e televisori ha piazzato l’email come un vero cavallo di Troia.[/quote]
Pubblicato nel 2011, questo pensiero ha radici antecedenti nella mia riflessione.
Quanto tempo è passato… Non solo nel frattempo ho digitato tonnellate di sms, ma siamo arrivati tutti molto più in là, al social network 2.0.
La domanda allora è: quando “guardiamo-dentro” allo schermo del telefonino cosa guardiamo? Ho già abbozzato qualche indizio di risposta.
Concluderei che “guardiamo-dentro-nel-telefonino” per cercar di guardar fuori. Come nel caso del meteo e delle mie finestre “impacchettate”.
Si era incrinato quello specchio un attimo prima di accingermi alla prima prova della performance, che mi ha visto quindi inquieto. Quella incrinatura mi appariva un cattivo auspicio. Oppure chissà, tutto può essere capovolto. O almeno molto. Ma con tanta fatica.
E non ci sottraiamo al lavoro, ci rimbocchiamo le maniche.
Anche la macchina teatrale è qualcosa dentro cui “guardiamo-dentro” per vedere attraverso e altrove. Per vedere di fuori e comprendere il mondo o per guardare ancora più dentro in noi stessi.
NICOLA E SUO PADRE
Così è trascorsa la prima prova in uno spazio semiaperto antistante la biblioteca. Ci trovavamo in una sorta di fienile con una cupola di mattoni perforati a forma di croce.
È andata, ma un’altra rottura ci ha atteso inesorabilmente tra la prima e la seconda prova. Il nostro amico attore Nicola ha dovuto scappare in ospedale e ha abbandonato l’impresa. Suo padre, già ricoverato è stato improvvisamente spostato nel reparto di terapia intensiva.
Anche questo mi ha toccato intimamente. Veniamo a recitare sul tema “Padri e Figli” e un padre prende rifugio in terapia intensiva.
Il mio libro è la traccia di un lavoro pluridecennale avvenuto nella mia interiorità per elaborare i misteri che mio padre mi ha consegnato negli ultimi 45 minuti della sua vita terrena.
Addolorati per la vicenda di Nicola, con la guida sicura della nostra regista-sciamana (Paola Giacometti) abbiamo affrontato l’ultima prova prima della rappresentazione con un attore in meno. La sua parte è stata assegnata in extremis ad altri attori che, non avendola studiata a memoria, sono stati costretti a leggerla.
Come del resto ho fatto io che attore non sono e al solo pensiero di imparare a memoria qualcosa mi vengono i brividi ancora a 65 anni. Per il solo fatto di averci provato cinquant’anni prima con il “Sepolcri” e il “V maggio”!
MONACI PERIPATETICI. SALMODIANTI
Ma proprio a questo proposito è avvenuta una curiosa inversione. Di quelle che mi incantano e inclinano al sorriso.
Dopo la seconda prova, restava circa un’ora di attesa in cui ci siamo aggirati ai margini dell’evento.
Chi si cambiava, gli uomini passeggiavano nello spazio bisbigliando la parte per aiutar la memoria.
Questa circostanza mi ha sorpreso.
Questi attori già nero-vestiti mi sono apparsi monaci che passeggiassero nel chiostro mormorando una preghiera misteriosa.
Ma non era così misteriosa per me. Erano le frasi che io stesso avevo composto e deposto nel sepolcro del testo.
Allora mi è capitato di suggerire qualche parola e di sorridere del fatto che gli amici si stupissero della mia memoria. Io che la parte avevo bisogno di leggerla ma… piccolo particolare… erano parole composte o ritagliate da me, così ero in grado di aiutare, suggerire o correggere.
Sempre curioso quando le parti si invertono. E nella biografia se non le vediamo invertirsi ogni tanto è segno che non guardiamo bene.
Così, decidemmo insieme di dedicare la performance a Nicola assente e suo padre malato.
CELEBRAZIONE. NEL “TEATRO-POVERO”
La recitazione, la rappresentazione recitante della metamorfosi della relazione Padre/Figlio è iniziata.
Sì, perché la mia “traversata immaginativa” l’ho sempre pensata come la celebrazione di un mistero. Se prendeva la forma della performance teatrale doveva esserlo alla maniera di Grotowski e di Peter Brook. Doveva essere un esercizio di teatro rituale, “teatro-povero”. In ogni caso una “sacra rappresentazione”.
Da questo mi sono sentito coinvolto e sospinto e grazie a tutto questo ho visto e capito meglio che diamine volessi dire nel testo.
Grazie all’evento e al lavoro degli attori mi sono sentito come una vela che prende il vento.
LA PALOMA, TRA PADRE E FIGLIO…
E il vento sembrava soffiare dalla direzione indicata della nostra regista-sciamana e dal suo strumento magistrale.
Un computer (qualche vecchio lo chiama ancora “calcolatore”) che riusciva a suonare come un violino regalando a tutti noi la musica e la giusta scansione fino alla evocazione finale. “La paloma” incredibilmente cantata, tenetevi forte… da Julio Iglesias!
Paloma è la colomba. E vola nel soffio dello Spirito. Innestata giusto del punto cruciale in cui l’Osvald Ibseniano soccombe invocando il Sole. Trovata geniale!
Ma Julio Iglesias mi è sempre apparso indigesto… forse devo riconsiderarlo. Anche Francoise Hardy, l’amore della mia pre-adolescenza, lo avevo scoperto da poco, si è compiaciuta di duettare con lui.
Comunque vi farò una confessione… tutto sommato preferisco suo figlio Enrique!
Ah, Dio mio, non me n’ero accorto…. anche qui un padre e un figlio!
Ed io che mi considero uno specialista in materia ci casco ancor oggi come una pera!
JULIO ED ENRIQUE
Solo la nostra sciamana è riuscita a commuoverci con la voce del padre…
Ma quello che è sortito dal suo computer era qualcosa di particolare. Ho provato anch’io a cercarlo su YouTube ma non c’è. Non provateci nemmeno.
Quello non c’è da nessuna altra parte.
Credo lo abbia distillato da quell’alambicco del suo calcolatore.
Il file si è perso e lei non fa mai un back-up.
Ma non temete.
Io credo che, per ogni rappresentazione in cui ancora ci dirigerà in futuro, riuscirà magicamente ad evocarlo per noi e per chi vorrà essere dei nostri.
Mi sento onorato di essere stato accolto come attore-narratore, nella compagnia Offblu e dalla magica direzione di Paola.
Mi sono sentito accolto come un fratello pur essendone in qualche modo padre in quanto autore del testo.
SEPOLTO NEL TESTO, RISORTO IN TEATRO
Un Padre sepolto nel testo e risorto, fratello, nella magica macchina del teatro.
Anche il telefonino dallo schermo infranto è la caricatura artificiale, miniaturizzata, del teatro.
Dall’anfiteatro greco al circo romano, alla chiesa medievale, alla stanza del principe, alla scatola di cemento del teatro borghese e infine… innestato nel mistero del cinema, il teatro sprofonda nel sottosuolo della televisione, dello schermo del computer fino al mio telefonino.
A proposito di telefonino, partorire questa pagina mi è costata una settimana di passione.
Riesco a concluderla solo ora.
Nel frattempo, da due ore, per poche decine di euro il mio telefono ha un nuovo schermo.
Sono andato da un cinese – direte voi?!
No, avete sbagliato!
Erano due sorelle brasiliane. Devono averci fatto una specie di macumba!
Siamo nel solstizio d’estate.
Vi saluto lasciando risuonare la voce del figlio.
Della rappresentazione teatrale in sé cosa volete che vi dica?
Come posso parlarne avvinto come sono dalle corde e dai nodi di un doppio o triplo legame (autore, attore…)? Non sarei affidabile ed è giusto che taccia. E poi non ho mai visto nulla, essendo sulla scena!
Posso solo ringraziare.
Su FaceBook sono già circolate molte belle foto. Scatti ovviamente di quel fratello che mi è caro come uno dei miei occhi: Roberto Tani.
Sue, ma ovviamente ormai ne riconoscete l’impeccabile stile bianco-nero… sue anche l’immagine di copertina e il ritratto di Paola Giacometti.
Il tutto sarà presto archiviato sulla mia pagina Facebook e qui sul sito. Ne vedrete delle belle!
3 pensieri su “Dal backstage di “Padri e Figli””
Due frasi mi colpiscono in particolare:
“Vivo prevalentemente in casa e le mie finestre, da un mese, invece di offrirmi l’immagine delle piante del parco e del cielo, risultavano letteralmente impacchettate”
“Un padre sepolto nel testo e risorto fratello nel testo grazie alla magica macchina del teatro”…dopo anni e anni che tu, con il tuo lavoro, lo hai preparato pet farlo rivivere….
Mi colpisce quello che scivi e ne sono ammirata. La forza é guardarsi dentro, rielaborare le cose e restituirle alla realtá in una forma piú comprensibile, accettabile, meno dolorosa.
Se cosí non fosse stato saresti rimasto chiuso in casa, facendoti piccolo piccolo fino a non riuscire a vedere il cielo azzurro anche fuori da grandi finestre luminose…fino a non aver più voglia di esplorare qualcosa.
Mi viene in mente “scoprendo Forrester”…un film bellissimo. Lí é un ragazzino che aiuta lo scrittore…
Una volta mi hai detto: “quando quella persona a lui cara non ci sará piú scoppierá tutta quella disperazione” che, dico io, forse è la stessa che hai vissuto tu…e che peró hai vinto trasformandola in un bellissimo libro e guardarla da fuori.
Spero di esssere capace di incrinare anche io lo schermo di quel cellulare;-)
Un abbraccio
Francesca
Innanzi tutto, cara Francesca, grazie del commento di risonanza profonda.
Grazie di aver fatto come me…. mi hanno detto in passato che è singolare la mia scelta di parlare in pubblico del mio privato lavoro interiore.
Per quanto riguarda la tua condivisione in pubblico di una conversazione privata, preferisco non risponderti qui.
Mi piace invece commentare altro di quello che hai scritto.
Si, io vivo in casa ma non mi sento recluso.
Mi sembra un atto di giustizia.
Certo, il destino si è accanito su di me rendendomi invalido a vent’anni ma anch’io ho messo molto di mio.
Se oggi scelgo di vivere in casa non è solo per naturale consunzione senile, sarebbe da accettare anche quella. E’ semplicemente perché dall’eta di vent’anni fino a una decina d’anni fa ho misconosciuto i limiti che la mia invalidità mi ha inflitto, ho abusato delle mie forze per…. “far finta di essere sano“!
Non mi sono fatto mancare niente, ho condotto una vita così attiva da far invidia a molti “normodotati”.
Ma né far finta di essere sani, né abusare delle proprie forze sono una buona scelta e io sto pagando questa. Non altro. Così almeno me la racconto.
Un’altro aspetto vorrei riprendere di quanto dicevi. Quello che tu indichi “guardarsi dentro” e a cui attribuisci un valore lusinghiero per me.
Mah, io ho puntato all’espressione “guardare dentro” e sicuramente non immagini da dove venga per me questa espressione linguistica.
Nessuno se lo aspetterebbe, ma l’ho ripresa da una canzone popolare che ormai è penetrata nella cultura collettiva di questi anni.
Viene da…
QUELLI CHE CANTANO DENTRO NEI DISCHI PERCHE’ HAN DEI FIGLI DA MANTENERE, OH, YEHA!
Firmato Jannacci Vincenzo. Medico della mutua con la lista vuota perché nessuno lo prendeva sul serio come medico!
Il mio guardare dentro non è tanto introspettivo nel senso del “conosci-te-stesso“.
Il mio è un guardare dentro nel telefonino, nel senso di guardare il mondo attraverso uno specchio.
Mi viene in mente anche la frase si Stephan Daedalus a Buck Mulligan nell’Ulisse di Joyce:
“Quello è il simbolo dell’arte irlandese, lo specchio sbrecciato di una serva”
D’altro canto, non credendo nella affidabilità dell’introspezione (paradossale per un analista, ma l’analista è anche un fan del Dr House) cerco il sostituto della possibilità introspettiva auspicata dal “conosci te stesso” nel “guardare-dentro-nel-telefonino” come nel rispecchiarsi nello specchio sbrecciato della serva.
Arriverà presto Bion a completare il teorema con la sua sorprendente inversione servo/padrone che subentra a raffreddare i bollori ottocenteschi della lotta di classe! Il resto è sotto i nostri occhi.
Basta “guardarci dentro”. Intendo guardare nello schermo infranto, nello specchio sbrecciato di una serva.
Scusandomi della divagazione forse estrema, concludo con un’ultimo riferimento ad un autore a me caro che può sintetizzare il discorso…
Hoffmansthal, da qualche parte dove non ricordo, scrive pressapoco: Non sapendo dove nascondere la profondità, Dio…, l’ha nascosta nella superficie! Come la lettera rubata di Poe.
Buona e felice perdizione nel deserto del sol-Leone!
I miei genitori sono nati in agosto nello stesso giorno ad un anno di distanza!
Povero me, tra due leoni, non potevo che nascere Bilancia!