Questa pagina conclude il racconto delle due precedenti
Sala operatoria e L’Angelo di s. Pietroburgo.
Prologo (cantata)
Chi scrive non ha mai vissuto una “storia estiva”.
D’estate è solo il Sole che lavora sui corpi.
A lui i corpi si offrono con fiducia.
Ne viene fecondato il seme della bellezza.
Non tradire la confidenza.
Che solo il Sole possa sfiorare la pelle.
La maturità dei “frutti della passione” arriva con la maturazione dei frutti più dolci.
Sono nato in autunno e son quelli i frutti che amo di più. Le mele e le pere. I fichi e l’uva. Dioniso.
Lì, ogni anno, si rinnova il mistero della mia nascita.
Attraverso ancora una volta l’estate: si può andare e venire, dovunque e con chiunque.
Ma ho sempre trovato l’estate come un deserto da attraversare.
Cerco di farlo con diligenza perché so che lì si forgia il carattere. In quelle fornaci.
Le grandi guerre del passato son state combattute nel segno del Leone.
Attraversando quelle forche caudine si perviene al “gran premio”.
Per descrivere il passo ondivago del villeggiante, l’odissea del vacanziere, esiste una espressione milanese impagabile: balabiott. Indica letteralmente colui che balla nudo. Svestito. Ho vissuto la mia giovinezza portando nel cuore l’immagine di Cesare Pavese, vestito di tutto punto, seduto su una sdraio sulla spiaggia. Se ben ricordo, leggeva pure! Lui si, forse drammaticamente, non aveva nulla del balabiott!
Inutile fare i gradassi d’estate.
E’ solo la natura ed il sole che canta nei nostri corpi.
E’ qualcosa di cui non abbiamo alcun merito.
Possiamo lodare il sole nello splendore dei corpi.
La nostra vita ricomincia in settembre.
I corpi abbronzati ritornano alla vita sociale, in città.
Da settembre ricominciano i giochi.
I giochi veri: il lavoro, la vita quotidiana, gli impegni, il lavoro.
I giochi più belli son le cose più serie.
Goethe e Huizinga (homo ludens).
La vita ricomincia quando i corpi abbronzati tornano in città e trovano la stagione dai frutti più dolci.
Doni solari, maturati nel sole d’estate.
Splendore dell’uva e dei fichi e, più tardivamente innestata dall’estremo oriente, la meraviglia dei kaki.
Contemplare un corpo femminile in autunno è lodare le opere che il sole ha compiuto.
Amare i corpi d’estate è cogliere un frutto acerbo.
Il frutti si colgono dopo che il sole li ha maturati.
Forme e colori
In fondo, qualcosa di tutto questo è stato chiaro a Platone che ha visto nella contemplazione del corpo il canto di lode alla natura e all’idea della bellezza che ci conduca al bene.
Goethe entra in maggiori dettagli e ci indica che quando guardiamo ciò che pensiamo essere un oggetto in fondo percepiamo solo forme e colori. Solo questo è visibile di un corpo.
Ma la forma e il colore sono i giochi della luce solare. I colori sono detti splendori e sono i frutti di una scomposizione dell’unica luce solare che risplende nel segno del Leone.
Colori come splendori della luce solare.
Le forme sono l’opera della luce fosforica. La luce della mente che percepisce lo splendore nelle tenebre. E’ Lucifero (portatore di luce), là dove, cristianamente e impeccabilmente, solo il Cristo è il vero Lucifero.
La luce solare ci acceca d’estate, ci estasia con i suoi frutti e le sue opere d’autunno.
Del sole non si può dire nulla che non sia accecante e quindi banale. Parliamo piuttosto delle sue opere, dello splendore dei corpi e dei frutti. Di come il sole lavori sul corpo delle donne. Ciò che è definito banalmente abbronzatura ne è solo la parodia.
I corpi rigenerati solo levigati, ripuliti, resi più semplici, sciolti e riconsegnati alla propria natura dall’opera della luce solare. Per qualche settimana i corpi splendono di luce accumulata e riflessa.
Poi inizierà il gioco dei vestimenti e travestimenti. Delle velature e delle svelature. La sublime seduzione sotto le coltri invernali. Lì si può modulare il lascito della luce solare, nella luce mentale, fosforica. Tutto questo per collocarci nella giusta prospettiva. Cercare di sapere qualcosa di cosa andiamo a dire.
Racconto
Erano le prime ore del pomeriggio di un giorno di settembre. Avevo l’appuntamento con il dentista. Parcheggio la macchina in centro Milano, sul lato sinistro di una via stretta a senso unico.
Aperta la portiera, mi rendo conto di ingombrare metà del marciapiede. Nello stesso istante mi accorgo dell’avvento di una giovane signora. Un rapido sguardo senza malizia mi fece percepire che si trattava di uno di quei corpi su cui il sole aveva lavorato con delicatezza, aveva prodigato le sue amorevoli cure. Con disciplina e diligenza. Non era nemmeno abbronzatura. Dorata, ambrata la pelle. In questi anni, bucato l’ozono, il sole può far danni. Di questo ne sono sicuro.
Dolce la pelle. Levigata allo sguardo. L’avrei guardata per una notte intera prima di compiere l’Opera mia. Come Parsifal.
Alla luce bianca della luna, sopra e sotto la pelliccia di zibellino, mentre le braccia del ragazzo si allargavano ad accogliere, contenere, accarezzare, e il suo sguardo imparava i percorsi della bellezza eterna, si compiva il rito forse più importante della cavalleria. Ogni vero cavaliere, per essere accettato dall’amata, doveva vivere questa prova, doveva dimostrare di saper guardare e ricevere l’amica, senza penetrare fino a quando la sua anima non fosse stata completamente impregnata di lei, addolcita dalla sua tenerezza, e corroborata da quella particolare forza, che è propria della donna. L’asag,o essai, prova (e la contemplazione della donna nuda, che lo precedeva o accompagnava), vagliavano la capacità del cavaliere, ma anche le qualità della dama. Se in lei infatti dolcezza e forza femminile mancavano, disperato era il compito del cavaliere, ché non ci si può impregnare delle qualità della donna stando con un maschio mancato. Così l’asag, prova virile, era anche il privatissimo palcoscenico, o forse l’altare, sul quale la donna presentava il compimento, la piena realizzazione del proprio femminile, quando realizzazione v’era stata.
Claudio Risé. Parsifal: L’iniziazione maschile all’amore
(posizioni nel Kindle 865-880). Saggi. Edizione del Kindle.
E’ così lungo l’inverno e si vive della luce ricevuta d’estate.
Elaborata nel buio invernale.
Per questo il Nord Europa è la patria dell’anima cosciente. Dell’individualità elaborata e tormentosamente acquistata di Amleto, dei personaggi di Dostoevskij, di Ibsen, di Pasternak.
Lei, la signorina, l’amabile passante non aveva concesso nulla alla tendenza, alla moda, agli usi e costumi dell’ epoca imbarazzante in cui ci incontriamo, magna cum gratitudine grande.
I suoi sandali sfioravano il marciapiede. Da questo capii che non era un angelo. A loro non servono sandali. Superfluo per lei lasciarli alla soglia. Procedeva lentamente, incessantemente. Sentii immediatamente l’impulso a salutarla con un inchino del capo. A lasciarla passare.
Richiusi, per quanto possibile la portiera dell’auto.
Le ho mormorato “Prego”. E lei “Grazie”.
Le preghiere e le grazie abitano ancora tra noi.
Anche la nostra epoca può essere splendente.
Così la vidi scomparire oltre una portineria ricca di ombre e di anfratti.
La sua ultima offerta fu l’immagine della nuca che mostrava una taglio di capelli particolarmente grazioso ai miei occhi.
La mia goffaggine maschile è incapace a descriverla.
Impiegherò per questo lo sguardo e le parole di un’altra donna. Una signora di efficace eleganza che risponde a un nome cinese: Zhang Ailing
“(…) la pelle liscia e luminosa come un legno levigato e lucidato. I capelli corti erano rasati alla nuca a formare una piccola punta: con il collo scoperto e senza maniche a proteggere le braccia, il suo corpo era in balia di chiunque volesse approfittarne.”
(Zhang Ailing, Rosa rossa, rosa bianca, in L’amore arreso, Ed Rizzoli, BUR)
Così ero rimasto con le gambe fuori dall’auto. La portiera socchiusa. Attendevo di puntar le stampelle ed alzarmi. E quando lo feci mi accorsi che mi girava la testa… che…
“lo spirito de la vita, lo quale dimora ne la secretissima camera de lo cuore, cominciò a tremare si grave; fortemente che apparia ne li menimi polsi orribilmente“
(Dante, la Vita Nova, II)
Ma torniamo al filo della narrazione. Torniamo al mio capogiro, alzatomi dal posto di guida. Capii che la mia stazione era più pericolante del solito. Appoggiatomi alla mia gloriosa C5, lo chiamai al telefono il dentista, pregandolo di venirmi incontro. Giunto al suo studio mi misurò la pressione. Era normale. Non ci restò altro che commentare, ridendo, il fatto che una signorina mi aveva fatto girare la testa.
Presumibile artrosi cervicale. Non fosse che per il fatto che un paio di giorni dopo, di prima mattina, una improvvisa vertigine mi face cadere e, con una lesione al tendine della spalla, la cuffia dei rotatori, mi si spalancò il cammino verso la sala operatoria.
Artrosi cervicale o stordimento amoroso. Per quel che valgono intercettazioni e diagnosi….
Restano i fenomeni e se guardo in quella direzione, cosa vedo?
Vedo che l’immagine di quella donna che scompariva nel portone.
Vedo che la sua immagine ha ritagliato nella trama della mia vita una silhouette attraverso la quale posso vedere un’altro cielo. Un altro schermo.
Quello in cui si stagliano i mesi della mia sofferenza con tutte le sue complicazioni di veri tipi.
Si staglia quella incisione nella curva del tempo da cui si dipana la sensazione della vertigine del tempo.
Sarà l’insegna del mio nuovo blog. La vertigine del tempo.
Non è più tempo in cui l’immagine della curva possa tenere.
Che tu sia benedetta tra le donne!
Che la forma della mia sofferenza possa diventare il recipiente della tua gioia se è vero quanto garantisce Gibran, il profeta: “quanto più a fondo vi scava la sofferenza, tanta più gioia potrete contenere”.
Non la voglio per me, la offro all’archetipo dell’immagine femminile che cerco di nutrire evidentemente anche in me.
Nella camera oscura del mio cuore.
Nel film della mia biografia.
Che tu sia benedetta fra le donne!
PS. Scrivo questo note nella benedizione della natura, del sole, del mare, degli indescrivibili profumi della vegetazione dell’isola di Cherso e Lussino.
I profumi non si fotografano o registrano come le immagini e i suoni!
Vorrei offrire al lettore anche questi.
Scrivo anche nella intuizione, spero veritiera che i chirurghi abbiano fatto un buon lavoro. I chirurghi del reparto di ortopedia di Bollate.
A quanto pare riesco ancora ad entrare ed uscire dal mare con le mie fide stampelle rosse con l’aiuto del bagnino (si chiama Dragan ed è uno splendido ragazzo!).
Ma che cosa possono valere le opere di un uomo se non c’è una donna che ci guardi?
Una Ma-donna (mia signora) a cui offrirle con cortesia e devozione?
Per la terza volta ripeto e concludo:
Che tu sia benedetta tra le donne!
Un pensiero su “Artrosi cervicale & amor cortese”
Questo commento è di Clary Dionisio, amica e sorella in FB che me lo ha inviato personalmente autorizzandomi a pubblicarlo.
Eccolo copiato e incollato qui.
“Bella, struggente e poetica questa nota, Francesco, o meglio questo buttar giù l’emozione e il suo percorso in te, prima durante e dopo… Stampelle o non stampelle, succede a tutti noi, un incontro che dura solo il tempo di uno scatto, ma che ci lascia stupiti, perché foriero di tanto, ma tanto in noi.. e benediciamo questa fotografia vissuta, per appunto il percorso emozionale e intellettuale che ci ha permesso di fare… Facciamo questo lungo viaggio dentro, quando siamo in quel momento di ascolto della vita e della nostra vita… in una solitudine oramai digerita.. La vita stessa non sarebbe nulla, se non ci fossero tutte le sfumature tra rimandi e associazioni sul filo delle nostre necessità sentimentali e biologiche. Questo è forse uno dei motivi per cui si dice che gli animali non hanno il senso del Tempo… (ho i miei dubbi), ma sicuramente non possono “viaggiare” nella vertigine di un presente così denso di passato e così forte del suo futuro… Non credo che le donne vedano gli uomini diversamente, da te…. direi piuttosto che abbiamo le stesse “visioni” romantiche sul filo interno della propria storia, e magari iniziano da un particolare come una espressione sul viso o delle mani che prendono un oggetto e attraggono il nostro sguardo… Quell’amore che sboccia a 9 anni, nel maschio è così simile al nostro anche in tarda età.. un amor su cui imbastire 1001 storie per un animo romantico… Facendo di 1 particolare il perno di tutto… Se da sempre un uomo che oramai è autonomo ha necessità vitale della “benzina” di una donna, si può dire che una donna autonoma, ha necessità vitale di aver il compito della “manutenzione” di un uomo, o di un bambino o di un cane… Ossia l’uomo si dice, mi muoverei ma per chi? e la donna si dice, ora che mi muovo chi mi fa sentire utile?”
Grazie Clary!