La signora Pazienza inpastava la pizza. In via Savona 10 a Milano. Poteva essere il 1955. Siete liberi di controllare.
Il multietnico a Milano ha lontane radici. La prima etnia a comporre il multietnico é stata quella dei terroni. Mio padre lo era. Emigrato a trent’anni. Una fidanzata a Milano.
La volta che la signorina, mia mamma, si era ammalata. Ventenne, finalmente era andata al paese dei genitori. Emigrati una generazione prima in Alzaia Naviglio Grande. Vicino al mitico vicolo delle lavandaie. Quelle me le ricordo davvero, in riva al naviglio. E dire che mia madre si vergognava di dire che era nata lì. Vertigine del tempo! (per me suona come una imprecazione!)
Doveva starci qualche giorno, invece si è ammalata ed è rimasta qualche mese. Il medico condotto, don Ciccio Pazienza, Francesco come me, aveva un figlio studente in medicina. Lo accompagnava nelle visite. Il resto é facile indovinarlo! Dopo un fidanzamento, in mezzo una guerra mondiale, é arrivato a Milano. La valigia di cartone conteneva una laurea in medicina. Conseguita a Roma. Città lasciata con gran rimpianto. Papà non ha mai nascosto che Roma sarebbe stato meglio. Allora io e mia madre ci guardavamo. La nostra esistenza cancellata con un colpo di spugna. Strana sensibilità i terroni. Comunque lui é arrivato qui. E mia madre ha imparato ad impastare la pizza.
Ma non la impastava tutti i giorni, solo quando invitavano a cena il dottor Soregaroli. Magico nome. In grado di ribaltare la casa al suo pronunciamento. Non oso digitarlo su Google. Lo mantengo così….Un Mantram. La chiave che spalancava le porte del salotto buono e della sala da pranzo.
Per i primi dieci anni io non ho avuto una stanza personale. Ma c’era il salotto buono e la sala da pranzo. Si apriva raramente ma c’era. In quei casi mia madre, sulla tavola di legno soggiacente al marmo del tavolo della cucina. Marmo rosa di Carrara, lo stesso del Duomo di Milano. Su quella tavola di legno, la tavola alchemico, la tavola occulta, impastava la pizza. Il dottor Soregaroli ne andava matto. Ne parlava poi coi colleghi, della pizza della signora Pazienza.
Erano anche i casi in cui mia madre, lo diceva lei, “andava in orgasmo”. Solo negli anni Settanta fummo in molti a spiegarle che l’orgasmo forse era un’altra cosa. Lei lo usava semplicemente come sinonimo di ansia. Dubito che il significato di quella parolaccia l’abbia mai conosciuto. Impastava la pizza. Andava in orgasmo….
Lo so che voi non capirete. È ovvio. Ma dovete pensare che in quegli anni a Milano le pizzerie si contavano sulle dita delle mani. La prima ondata di cucina multietnica, alla fine degli anni 50 a Milano, vide la diffusione delle pizzerie. Non c’e n’erano così tante prima di allora. Come il pomodoro è arrivato in Europa dopo la scoperta dell’America (altro che Napoli!), così le pizzerie son diventate popolari. Rosso Pomodoro come rosso, il libretto di Mao. Agitato prima dell’uso. Prima di allora i milanesi mangiavano alle 12 e alle 19. I terroni alle 13 e alle 20, come minimo. I più recalcitranti alla metropolizzazione anche più tardi.
In quegli anni le pizzerie son fiorite negli angoli di strada a Milano. I costumi han cominciato ad uniformarsi. Oggi tutto si fa sempre e comunque troppo tardi, i nostri bisogni. O troppo presto, i nostri desideri. Così il desiderio di pizza ha trionfato. Davanti all’Università statale in pieno Sessantotto, spacciavano anche i panzerotti fritti di Stripppoli. Credo che ne parli anche Umberto Eco.
Da allora alla signora Pazienza han rubato la scena. Ha cominciato ad andare in orgasmo per altre cose. La mozzarella in carrozza. Di cui io andavo matto. Ma di questo parlerò in un prossimo post. Un altro girone dell’Inferno. Un altro cerchio del Paradiso. Mi interessa qui affermare l’idea che solo allora le pizzerie son diventate esercizi di massa. E sono sempre in qualche modo connesse con l’orgasmo femminile.
Pensate che ancora oggi, come psicanalista mi capita di ascoltare racconti di infelicità coniugali. Di conflitti di Coppia. Cose che più se ne parla in cucina più si ingigantiscono. Allora il mio formidabile intuito terapeutico sfodera l’asso nella manica. Perché non uscite a farvi una pizza? I bambini? A casa con la baby sitter! Anche la ragazza del signore della porta accanto, la studentessa, ha diritto a lavorare. Si guadagni una pizza anche lei! Ora fanno un pacchetto: baby sitter più pizza, ma solo nei casi di documentata infelicità coniugale. L’arbitraggio sia dei servizi sociali.
Così seguendo dai primi anni settanta le tracce di queste pubbliche istituzioni, di questi egregi esercizi, scopriamo che già a partire dagli anni ottanta, ha cominciato ad affermarsi la domanda dei ristoranti cinesi. Irrompe l’esotico, insieme alle canne.
Altro girone. E qui entriamo davvero nel multietnico. Un multietnico vero. Spesso. Cortine impenetrabili. Da anni sono innamorato della cinesina del ristorante sotto casa. Subentrato in quegli anni ad una trattoria toscana. Quella del Toni. Ogni tanto parla con me e si fuma la sigaretta al parco. Poi improvvisamente mi saluta appena. Una notte d’estate mi ha chiesto di accompagnarla al metrò. Toccavo il cielo con un dito. Poi ho capito che aveva litigato con qualcuno…. Ma anche di questo parlerò un altra volta.
I cinesi sono stati la punta di diamante della globalizzazione che oggi mescola allegramente tutto. Paradossalmente questa è l’unica cosa che mi strappa un sorriso in questi tempi bui. Qualcuno ha scritto allegramente sui muri: “stranieri, non lasciateci solo con gli italiani!”. Aggiungo io: san parlare solo di Berlusconi e, in un modo o nell’altro, non combinano niente.
Nel frattempo, negli anni novanta gli arabi hanno occupato le pizzerie e si sono affacciati i giapponesi. Altri musi gialli! Ma negli anni novanta a Milano, i siano bar erano tanti quante le pizzeria negli anni cinquanta a Milano. Così, siccome il mercato tirava, i cinesi fanno (quasi sempre male) anche cucina giapponese. Gli arabi pizze e cucina italiana. Agli italiani non resta che lamentarsi. Piagnucolare. In questo siamo maestri.
Intanto le mamme, per andare in orgasmo, non han più bisogno di impastare la pizza! Speriamo che ci riescano altrimenti! Per la Festa della Donna son tutti in pizzeria.
Ma vi piace davvero l’odor di mimosa? A me no!
8 pensieri su “Quando la signora Pazienza impastava la pizza.”
Una vera alternativa all’infelicità è impastare a mano.
Intanto ho dovuto fare a meno della cucina esotica perché Sandro stava sempre male, si è scoperto intollerante al glutammato. Poi siamo diventati vegetariani e ora tentiamo di fare a meno di qualunque additivo chimico, nel cibo come nei prodotti di pulizia. Laviamo con la cenere del forno. Ah ah! Accendiamo il forno a legna una volta alla settimana, ci facciamo tante cose: pane biscotti pizza focaccia farinata torte. Sandro va a fare la legna con suo padre e adesso che scrivo il fuoco scoppietta e per il morale, il profumo dei biscotti e il crepitio del fuoco sono un toccasana. Anche perché il domani avrà come sempre le sue difficoltà e oggi ci stiamo già preparando. Ciao!
Cara Emma, è solo una ventina d’anni che non ci incontriamo ma, incrociandoci telematicamente, per un verso mi sembra di averti lasciato ieri, per altro,m ti trovo ogni volta più “cresciuta”. La parola è orribile ma rende l’idea.
Il tuo commento è profondo,,lieve, come ogni cosa profonda (anche questo termine è discutibile ma…).
Per un verso mi tocca illuminando il passato. Penso all’infelicità di mia madre. Cui ho alluso solo con giochi di parola.
Per altro verso mi fai riflettere sul tema delle intolleranze che esplode come sintomo del fenomeno che ho descritto.
Infine questo accenno così condiviso al domani…
mi fa tornar in mente l’ultimo verso di un celebre poema che ti offro volentieri in una versione colorata.
“Perchè domani sarà un giorno lungo e senza parole…”
http://www.youtube.com/watch?v=9uKpvwvRE6U
Grazie! Se torno dalle vs parti, cosa che desidero, dovremmo suonarla insieme!
Uno spaccato di vita del “tempo che fu” che ho vissuto anch’io, e del presente che mi hanno toccato nel profondo del cuore!
Grazie
Una madre che impastava la sua vita con l’ ansia della volontà. Una noce ben lievitata è cresciuta il Lei, wolfango. Come la sta tramandando?
@laura: ho cercato di tramandare improvvisandomi cuoco per rituffi di meditazione e un soggiorno per i mie studenti liceali.
Ora purtroppo faccio un po’ di difficoltà a farmi da mangiare.
Quando mi riesce però son sempre contento!
@Buonacucina: Grazie a Lei, spero che nei prossimi anni mi ritorni la voglia di mettermi a cucinare! Il suo blog me ne darà lo spunto!
Fantastico racconto,
pero’ senti, maddaiii, il Duomo di Milano è fatto col Marmo di Candoglia,
arrivava dalla val d’Ossola via Ticino e Naviglio, come si faceva a trasportare
tutto quel marmo sulla Cisa?
Demolisci una credenza della mia infanzia! Me lo hanno raccontato fin da bambino! Grazie comunque dell’attenzione!