Psico-NON-analisi 2

Cominciando a lavorare come psicanalista, intorno al 1980, mi ero reso conto che, come già dichiarato, non sapevo assolutamente nulla. Nulla che mi sostenesse nella responsabilità che mi assumevo nell’accogliere altre persone in cura. C’era un parte di me che si gingillava con i suoi giocattoli strutturalistici. Il cui uso non avevo nemmeno ben compreso. Me  ne rendo conto oggi rivalutando quelle cose che mi scintillavano in mano (l’opera di Lacan, Deluze, Derrida, Bataille…).
Che fare? Feci la cosa che in fondo ancora oggi mi appare invece più ragionevole. 
Mi rendevo conto che il mio giochetto poteva funzionare. Parlando si scioglieva qualcosa. Magari non si guarisce più, non si guarisce mai… Questo ormai lo sappiamo. Funzionava. Poteva funzionare. Ma io non sapevo perché e come. 

Neanche oggi so perché, ma non me ne faccio un problema. Sono abbastanza adulto da non farmi quelle  domande che non si devono fare. Ma… Sapete come sono i ragazzi…. Chiedono sempre il perché di tutto. Ma magari solo perché vogliono godersi la musica della nostra voce che spiega. Racconta. Solo narrazioni. Come sussurra il manifesto dell’epoca post-moderna.

Così cercai di ampliare il campo della mia ricerca. Nel frattempo fui profondamente colpito dalla morte improvvisa di mio padre.
Qualcosa di indefinibile mi chiamava in quella direzione. Tutta una serie di segni tanto oscuri. Ma tanto chiari.
Una evidenza parlava. Ma io non avevo strumenti. Non avevo orecchie per quello….. Bene. Li ascoltai lo stesso. Chissà con quali orecchie?!!

Si ascolta, si vede, si parla, evidentemente anche col cuore. Inutile che vi faccia un link per indicare chi l’ha già detto. Ciascuno lo può e lo deve capire da solo. Come lo capì quel ragazzo sfuggito alla strage del Ritalin. Quel ragazzo per cui oggi provo compassione e che merita compassione.
Ma il ragazzo era anche (o si figurava di essere) un freudiano-lacaniano-strutturalista. Si sentiva impermeabile al richiamo (in seguito adottato) della psicologia del profondo di Jung. Non era cosa per lui. Niente religioni, filosofie, esoterismi. Roba sospetta. Con qualche ragione.


Fu invece un’estensione di quel poco di antropologia che avevo masticato (Marcel Mauss in particolare)…. O forse semplicemente il fatto che ai funerali di mio padre il più freak  dei miei amici, un beat, un “vagabondo del Dharma“, uno che era già stato in India, dopo averlo accuratamente avvolto in una stoffa indiana, mi offrì una copia del “Trattato di storia delle religioni” di Mircea Eliade. Straordinario! Ora è tutto disponibile on-line! Lavoriamo per qualcosa!


Eravamo freaks, ma anche gente che leggeva! Come i beats di San Francisco dipinti dal nostro amatissimo Jack Kerouak.
Mircea Eliade sarà una lettura fondamentale per il mio lavoro di insegnante di religione, una ventina d’anni dopo. Il suo approccio esistenzialistico  mi permetteva di procedere verso lo yoga, il buddhismo, ciò che definisco le antropologie indo-ariano. Che per me significa semplicemente: alla ricerca delle nostre radici, oltre Roma e la Grecia.


Già da quegli anni mi appariva evidente il fatto che le prime generazioni di coloro che non avevano studiato il latino, chissà come, chissà perché, analfabeti come erano (come eravamo) correvano in India a cercare qualcosa di ancor più remoto del greco e del latino. Una lingua apparentemente ancora più morta. Il sanscrito.


Ma, nell’animo umano, che cosa sia vivo, che cosa sia morto, a volte, è difficile a dirsi. Ci sono braci dormienti ancora capaci di innescare grandi incendi!
Lontana, morta….  Il sanscrito è la lingua-radice di greco e latino!
La radice, oltre la Grecia, della nostra identità culturale!


La generazione dei Beats, degli Hippies, alla quale mi onoro di appartenere, aveva bypassato il greco il latino per compiere ritualmente il Pellegrinaggio in Oriente!
Togli qualcosa di essenziale all’essere umano e se lo riprende in altra maniera! Togli il latino, si prendono il sanscrito!
Roba da non credere!
(continua)

 

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