Tra una sofferenza allergica, che mi ha afflitto tra le Palme e il Primo di Maggio, e l’incendio di Aruba, il caso ha voluto che il mio “Quaderno d’Accidia” venisse ri-pubblicato qui in prossimità della Festa dei Lavoratori. E’ una coincidenza curiosa, inizialmente sfuggita anche a me! Colgo l’occasione per esprimere, pur con qualche ora di ritardo delle considerazioni sul Lavoro (non lo scrivo a caso con la maiuscola) che mi stanno a cuore e che da molti anni mi accompagnano nel cammino della vota quotidiana.
La cultura Ebraico-Cristiana in cui siamo cresciuti indica la funzione del Lavoro in modo non equivoco. L’Uomo viveva nel Giardino dell’Eden. Non mancava nulla ma, lo sappiamo anche noi, queste situazioni durano poco. Forse perché non siamo consapevoli di ciò che abbiamo, forse perché, come si dice, “abbiamo bisogno di stimoli sempre nuovi…”. Sappiamo tutti com’è finita la cosa. Cacciati dal Paradiso, sembra a causa della Donna (la cosa andrebbe indagata meglio ma le Donne sono state al gioco e non han smesso di pagarne le conseguenze) l’uomo ha incassato una serie di punizioni tra cui brilla quella che ci riguarda qui.
Lavorerai la terra con il sudore della fronte etc, etc, etc. Eccolo qui il lavoro come punizione per il peccato ma anche, non dimentichiamolo, un’altra punizione che alla luce dello sviluppo della coscienza è diventata un valore. Il dover giudicare il bene ed il male con la propria coscienza individuale. Inizialmente questa condizione è stata presentata come la punizione per aver disobbedito al Padre che indicava perentoriamente cosa fosse bene, cosa male. Mi pare che oggi ciascuno di noi sia ben lieto di difendere tale diritto.
Credo che qualcosa di analogo si possa dire anche della funzione del lavoro. Come sempre il cammino della coscienza è molto lento e graduale. Per un verso viviamo ancora il Lavoro come una punizione, per altro cominciamo a capire, anche se non siamo imprenditori entusiasti, che il lavoro è una preziosa occasione di realizzazione. Il Lavoro è un Gioco. Espressione del proprio talento individuale.
Certo, nessuno è completamente libero di fare o non fare qualcosa che ami. Penso spesso che nessuno ci pagherebbe per fare qualcosa che faremmo altrimenti volentieri e con piacere. Tuttavia ciascuno di noi sa che dopo un periodo di giusto e meritato riposo nella nostra coscienza l’impulso verso l’agire, il fare, la volontà di un impegno, trova il modo di farsi strada. A volte, addirittura, senza di questo, l’umore diventa tetro e la salute tende ad incrinarsi.
Ne ho fatto esperienza pochi anni fa quando, legittimato da un condizione di salute compromessa, avevo pensato di ritirarmi dal lavoro. Non ce l’ho fatta! Son caduto in depressione, ho intrapreso l’ultimo segmento della mia analisi e sono felicemente e spontaneamente tornato al lavoro. Certo, ho la fortuna, o comunque me la sono conquistata, di fare un lavoro che amo e in cui mi riconosco.
Quando guardo il genere di pubblicità con cui si presentano fenomeni come il “Gratta & Vinci” o qualche analoga lotteria, provo disagio e inquietudine. Come si può presentare come valore una vita di eterna vacanza? Come non comprendere che, per lo stesso motivo per cui il Gioco del Paradiso Terrestre è finito male, così finirebbe ogni presunta, analoga promessa? Allora nello sviluppo della nostra coscienza non è difficile reperire un momento ben preciso, possiamo collocarlo tra l’Umanesimo quattrocentesco europeo e Goethe in cui si fa cosciente un ruolo molto diverso del Lavoro.
Per l’ Homo Ludens, il Lavoro è Gioco! Il Lavoro non è più una condanna, ma la risorsa creativa più radicale nell’attività umana.
Il Lavoro non è più una punizione, ma il gioco più creativo e divertente che possa essere sperimentato da un uomo, pur nella fatica. Se ci stanchiamo troppo, probabilmente, è perché, per i motivi più legittimi, non riusciamo a vivere il lavoro come gioco.
E il gioco, come pur la pedagogia contemporanea ha ben evidenziato, non è per il bambino solo un gioco. E’ l’attività più formativa e importante possa venirgli offerta. Sarà poi il bambino stesso che, una volta interiorizzato l’insegnamento che il gioco ha potuto offrirgli, lo abbandonerà. Da questo punto di vista la Vita intera è un grande Gioco. Oppure, come la linea di cultura indicata non esita ad esprimere: tutta la Vita è un Teatro. Un grande Sogno. O più semplicemente, in conclusione, tutto ciò che riteniamo così ”reale”, in realtà è ancora molto simbolico. Una volta decifrato il Simbolo, il gioco, la Vita stessa ha esaurito il suo corso.
E’ noto che Goethe, che pur non si presentava come un tipo noioso, ripetutamente indichi quanto gli sia stato importante in età giovanile, svolgere per diversi anni un lavoro burocratico estremamente noioso, se ricordo bene, presso una ambasciata.
Nel mio piccolo posso testimoniare che l’essermi pagato l’analisi didattica in età giovanile vendendo libri a rate, mi ha indubbiamente offerto insegnamenti molto profondi che mi hanno accompagnato per il resto della vita. Ho capito, ad esempio, che le persone, comprando libri, non comprano solo “oggetti” ma comprano “aspirazioni”. Dietro l’oggetto, comprano un simbolo.
Me ne resi ben conto, vendendo ad operai, nei festival dell’Unità, ponderosi tomi dell’Einaudi che risultavano difficili a me, studente universitario, appassionato di quegli stessi argomenti.
Mi chiedo spesso che ne sia stato di quegli acquisti. Lo penso con tenerezza e compassione. Che significato ha avuto il mio Lavoro e, lo ripeto, che cosa si compra quando si vende qualcosa? Certo, in fondo non sono stato un commerciante aggressivo. Infatti guadagnavo meno di altri.
Ero più bravo a vendere “Le mille e una notte”. Quella prima memorabile edizione che Pasolini aveva in mano mentre si faceva fotografare nudo. Per quanto preziosi, quei due volumi in cofanetto, costavano molto meno della Storia d’Italia o dell’Enciclopedia dell’Einaudi che imperversavano in quegli anni! Ma si sapeva già allora… Era la linea del Partito!
Un pensiero su “Il Lavoro come Gioco”
un bambino di 4 anni e mezzo dopo aver visto un nostro spettacolo mi ha detto “ah ma tu non lavori, fai spettacoli”…ignaro che la sua mamma aveva pagato. Così un’insengnate commenta il ritardo di due mesi dei miei pagamenti : “va bhè che fai un lavoro che ti piace , ma due mesi sono tanti”…gulp! sembra che sia più meritevole fare qualcosa che implichi una sofferenza. ma non credo che sia questo il punto complesso…come rinunciare a quella felicità che ti porta l’inevitabile e sana fatica che conduce sulla propria strada…la laboriosità che da forma a quello che siamo? se fatica è sinonimo di insoddisfazione …che grande fraintendimento, che rischio!…