La volta che babbo Natale mi ha tagliato la barba

La volta che babbo Natale mi ha tagliato la barba

Un adagio risuona nella mia mente dai tempi di scuola: “Temo gli Achei anche quando portan doni. Il riferimento era al mitico cavallo di Troia.
Viviamo circondati da pietosi riferimenti a miti frusti. Babbo Natale che porta doni. Si, ma io non sono Babbo Natale! Meglio esercitare la sana diffidenza del dr. House.
Babbo Natale regala ma non ruba mai? Non scambia mai i doni? Possibile?
Lo scambio dei doni, nozione a me così cara nella riflessione degli antropologi, (ha già attirato la mia attenzione) nella mia fantasia non è solo l’incrocio dei pacchetti tra parenti ed amici. Può consistere anche in sostituzioni impertinenti.
Ci si regala quel che immaginiamo piaccia agli altri. Oppure, smaccatamente, quel che piace a noi e immaginiamo piaccia anche agli altri. Sempre che l’altro non sia troppo diverso da noi. Cosa che non consideriamo mai abbastanza.  Calcolo balistico sulla traiettoria della caduta del desiderio.
Nel mio caso ho esperito il comportamento di un Babbo Natale finalmente umano. Troppo umano! Dopo avermi recapitato i miei doni la mattina di Natale, è tornato la mattina di santo Stefano quando ero ancora nel bagno. Visita inattesa! E si è preso la mia barba. Me l’ha rubata. Comunque non è stato difficile convincermi a lasciarla andare. Insisteva sul fatto che l’abito non fa il monaco e la barba non fa la saggezza. Nemmeno una barba quasi bianca come la sua.
Mi ha suggerito di provare a guardarmi in faccia senza quella maschera. Carnevale era ancora lontano.
Babbo Natale mi ha rubato la barba!
E anche questo è scritto da qualche parte in qualche Libro Sacro. Dio dà e Dio prende. Giobbe pare averne fatto esperienza.
Vivere significa imparare a stare a questo gioco. Ineluttabile. Ineludibile.
Così mi son trovato alle prese con la nuova quotidiana incombenza di radermi il viso. Quasi mezzora di tempo da smarcare nella mia giornata. Per anni, come tutti i barbuti, mi ha rinforzato una voce che sussurrava: quanto tempo perso a radersi!
Ma questa volta il Dio-Babbo-Natale ha trovato un argomento convincente.

“Ma chi sei tu per volerti risparmiare quel tempo a guardarti in faccia ogni mattina?”

Così ho ritrovato in qualche armadio giusto il dono di un conoscente che lavorava alla Weleda.  Per farmi un dono gradito, compilando un catalogo di prodotti in saggio , vi ha incluso crema da barba e dopobarba.
Peccato che allora portassi la barba! Ma vedeva lontano, l’amico, e il suo calcolo balistico sull’intersezione tra il suo dono ed il mio desiderio potrebbe apparire meno avventato di quanto possa sembrare. A proposito dello scambio dei doni di cui sopra!
A proposito di come il destino delle cose possa dispiegarsi spesso in un corso del tempo non sempre prevedibile. Non sempre banale.

Ma di non solo creme e lozioni vive il ritualismo della rasatura.
L’elemento essenziale è il rasoio. Quello di Occam resta una immagine archetipica della ragione.
E il tema del rasoio e delle lamette mi riporta dritto ad un colloquio con la buona anima di mio padre.
Sì. La nostra vita quotidiana è costellata di incontri con dei ed anime buone. Monoteismo permettendo. A condizione di saperla guardare. E ascoltare.

Mio padre criticava il mio consumismo in fatto di lamette.
Diceva che io buttavo le lamette nel momento in cui cominciava la vita migliore della lama.
Che strana immagine quella che può attribuire la vita a qualcosa di metallico e tagliente come una lametta. Castrazione? Funzione paterna nell’Edipo? Ma non diciamo frescacce! Non naufraghiamo nella banalità!
La lama ha una vita ma i ragazzi che si radono la prima peluria non lo sanno ancora. E come si aumentano gli anni di età, così buttano troppo presto le lamette.
Forse me lo sono sognato ma abita nella mia immaginazione anche la fantasia che il padre lasci inaugurare al figlio le lamette.
All’inizio le lamette sembrano fare miracoli o semplicemente li promettono.
In realtà le nuove lame feriscono anche più facilmente. E tra la pelle, l’individuo e la lama deve nascere una intimità e una confidenza che occorre avere molto orecchio per potere ascoltare. Così la lama compie il miracolo in modo più gentile e indolore.
Ma qual’è questo miracolo? Se lo è mai chiesto chi, ogni mattina, per tutta la vita si rade la barba?
Perché l’uomo si rade la barba?
Per adeguarsi a quale ideale o modello estetico?
Credo che l’uomo si rada per continuare ad assomigliare ad un bambino.

Il profeta è barbuto ma l’angelo è glabro.Angelo glabro
Ci si rade per continuare a sembrare bambini. Per assomigliare agli angeli.
Istintivamente in quei giorni ho cambiato la mia immagine del profilo di FaceBook. L’ho fatto istintivamente raccontandomi un’altra storia. Ce ne raccontiamo sempre troppo! Di fatto l’ho cambiata ed ho adottato l’immagine commuovente di un angioletto.
Ma ho scelto un angioletto che non svolazza nell’aria. E’  scolpito nel legno. Verniciato a dovere con colori smaglianti.

Mi ero reso conto che la mia barba piaceva e il prurito narcisistico mi dava un po’ di fastidio.
Così ho dato un taglio.
Per darsi un taglio oggi ci sono strumenti molto più potenti delle lamette.

Rasoio

Dalla morte di mio padre che ha visto tutt’al più rasoi bilama, siamo allegramente pervenuti a mostruosi rasoi!

La bellezza di  cinque lame. La bruttezza, piuttosto! Sono orribili al mio sguardo ma forse ai ragazzi piacciono. Guardate che roba!
Più che rasoi assomigliano a gli arti meccanici di un qualche robot.

Che sia Jeeg, robot d’acciaio? Questo qui?

Jeeg robot d'acciaio

Devo pensare questo mostriciattolo meccanico come barbiere?

E con questi strumenti non serve più nemmeno quel che comunemente di chiama “pelo e contro-pelo”. Un modo per indicare una completezza efficace e definitiva.
Basta una sola passata!
Ma non fa nulla. Come dice Blasco “va bene, va bene, va bene così!!”

L’immagine che resta dentro di me è un’altra e l’immagine di copertina ne rende la ragione più prossima.
In queste mattine continuo a coltivare nella mente e nel cuore l’immagine della vita della lama e non conto più da quante settimane non cambio la cambio. Viviamo tranquilli. Come assicurava mio padre!

Ho scritto questa paginetta il mattino del 20 di marzo.
Ieri ho vissuto con fastidio i nuovi ritualismi della Festa del Papà. Tutti che pubblicano pensieri e immagini del loro papà…
Verso sera, estenuato dalla resistenza, ho ceduto.
Ho pubblicato questo pensierino.

 

Ne è seguita una serie di commenti significativi per me.
Per gli amici lettori non è difficile congiungere la paginetta precedente con questa.
Non mi resta che riprendere il filo e raccontare come mio padre mi abbia insegnato a scrivere imponendomi un supplizio… non saprei definirlo altrimenti.
Mi toccava fare il riassunto dei “racconti mensili” (i più tosti) contenuti in quel libro ancora più tosto che comunemente chiamano libro “Cuore”.
L’ha firmato Edmondo De Amicis. Che poi si è fatto perdonare compilando quell’altra chicca che parla dell’altra metà del cielo. Parla di giovinette.  Si intitola “Amore e ginnastica”!

 

 

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