Nella scorse settimane si è svolto a Trento un convegno in memoria di Elvio Fachinelli a 20 anni dalla morte.
Avrei desiderato potervi partecipare, ma non mi è stato possibile. Scrivo queste note per esprimere i motivi per cui avrei desiderato parteciparvi.
Dire qualcosa di “vivente” di “non accademico” di Fachinelli implica per me dire anche qualcosa di me e del mio percorso. Questo è necessario, in particolare per il fatto che io non ho mai incontrato personalmente Elvio. Ho solo assistito ad un suo intervento ad un convegno. E’ stata per me una presenza importante per quanto ha espresso in forma scritta negli ultimi dieci anni della sua vita.
Molti sapranno già che Fachinelli, insieme ad altri, fu fondatore e animatore de “L’erba voglio” che aveva assunto posizioni molto radicali e vivacemente anti-autoritaristiche per molti aspetti vicine ai colleghi antipsichiatri e alla pedagogia del dissenso.
Per altro verso è noto come, già verso la fine degli anni 70 abbia rivisto criticamente le sue posizioni con una grande onestà intellettuale e capacità critica, soprattutto per quanto riguarda le implicazione psico-pedagogiche di quelle pratiche.
Da questa svolta nasce la parte più interessante del suo lavoro. Almeno per quanto riguarda il mio incontro con lui.
Vorrei esprimergli in modo sintetico i miei ringraziamenti.
Consciente dei limiti della mia esperienza inviterei parallellamente gli amici che lo hanno conosciuuto meglio di me, se ne hanno desiderio, di contribuire con altre testimonianze che possano integrare la mia. Penso a Baldo Lami, a Paolo Ferrario, a Romano Madera, a Gianni de Martino e a Denis Gaita. Persone che penso di poter rintracciare.
Io ho avuto l’impressione, tra i primi anni 80 e il 2000 di attraversare una sorta di deserto. Una esperienza di ricerca solitaria in cui, per quanto frequentassi molte persone, mi sono sentito profondamente solo. Ho avuto l’impressione di aver camminato nel buio.
In questo buio le ultime opere di Fachinelli sono state una voce amica e quindi una luce.
Cito a memoria una frase di Freud che riferisce un colloquio infantile…
-Zia parla con me! Ho paura del buio!
-Ma se ti parlo non mi vedi comunque…
-No, se tu parli c’è la luce!
Mi accorsi negli anni 70 che il breve scritto di Freud su “La negazione” (Die Verneinung), nella edizione Boringhieri delle Opere, recava la presentazione e la firma di Elvio Fachinelli. Si tratta di uno degli scritti più brevi, una nota, nell’opera freudiana; in pari tempo, però poneva una delle questioni più cruciali che metterà al lavoro psicanalisti, filosofi, logici…. Mi pare che tutto lo strutturalismo francesce, Lacan incluso, con gli sviluppi topologici del suo pensiero (Cahier pour l’analyse) possano ruotare intorno a queste pagine freudiane.
Questo scritto fu tradotto, presentato e pubblicato in Italia per opera di Fachinelli. Grazie Elvio! Questo, per me, in quegli anni è stato importante!
Il secondo “Grazie” che vorrei spendere non è meno sostanzioso. Se il primo è per la sua opera di traduttore, col secondo entriamo nella sua opera di scrittore, saggista, psicanalista.
In anni in cui ancora sembrava “normale” che una psicanalisi freudiana prevedesse un ritmo di tre (fino a quattro volte, nel mio caso) sedute settimanali e che i trattamenti si protraessero anche per una decina d’anni…. in questo contesto che, a mio avviso (lo pensavo allora e lo penso oggi) presenta tratti decisamente anomali, qui si è levata con forza, con lucidità ed intelligenza la voce di Elvio Fachinelli.
Tra la sua opera “La freccia ferma” e “Claustrofilia” ho trovato l’unica riflessione che mi abbia fatto pensare e procedere nel cammino.
Cito a memoria le argomentazioni di Elvio. Non voglio riaprire i suoi libri che sento depositati in me, non voglio farlo prima di aver terminato questa nota. Avrà un senso comunque che a me sia riamasto questo. Che lo ricordi così.
Si prendono le mosse questa riflessione: perchè in una epoca in cui tutte le tecnologie tendono a richiedere meno tempo e più efficacia, perchè solo la psicanalisi, col passare degli anni, tende ad invertire la tendenza e a richiedere trattamenti sempre più lunghi e reiterati (Freud non aveva mai prolungato un trattamento più di due anni). Non solo Fachinelli affronta il problema ma propone una sua interpretazione usando una sorprendente intelligenza immaginativa.
Nasce dalla esperienza di analista. Secondo lui ci sarebbe un momento dell’analisi in cui il paziente tende a produrre sogni o immaginazioni che l’analista dovrebbe essere in grado di riconoscere come inerenti ai dintorni della nascita. Se questa soglia non viene riconosciuta il viaggio tende a sprofondare nell’esperienza perinatale. Quindi da una claustrofilia che rischia di divenire un vicolo cieco per la cura.
Cosa importante da rilevare: negli stessi anni in cui Fachinelli proponeva queste cose, oltre la Manica, un altro grande psichiatra-filosofo, Ronald Laing indagava il tema della vita perinatale da un altro punto di vista e per entrambi il tempo della vita è agli sgoccioli. Sono mancati entrambi nell’89.
Non sono in grado di parlarne ma la connessione tra questi due grandi personaggi mi fa riflettere da molti anni.
Grazie Elvio, Claustrofilia mi è stato di grande conforto e spunto!
Ora mi sento chiamato a spendere il ringraziamento più grosso e più radicale. Quello in nome del quale mi son scusato anticipatamente di dover raccontare qualcosa di me per capire quale importanza abbia avuto l’ultima opera di Elivio, “La mente estatica”.
Intorno all’80 io ero uno psicanalista di primo pelo con una analisi personale freudiana in età liceale ed una didattica in ambito lacaniano che oggi mi appare improbabile quanto potevano essere improbabili certe pratiche di quegli anni.
Per fortuna però, appena cominciai a lavorare con pazienti mi resi conto di una cosa molto semplice. Che non sapevo nulla e, in buona parte, sapevo di non saperlo! In quella parte buona, trovai il modo di mettere in discussioni ciò che sapevo. E pochi anni dopo il divano mi cominciai a confrontarmi col cuscino e le sale di meditazione in ambito yogico e buddista. Forse lì, usando un po’ di discernimento, trovai maestri che mi permisero esperienze meno improbabili.
Il fatto importante per me era che mentre oggi, per qualunque psico-qualcosa, il riferimento al buddismo o allo yoga è un fiore all’occhiello che pochi si fanno mancare, in quegli anni che un freudiano frequentasse certi ambienti (a parte Servadio che era un fuori-classe) era veramente un atto di dissidenza. Almeno in Italia in cui James Hilmann cominciava ad essere tradotto ma non aveva il ruolo che assunse in seguito. Né ancora la psicologia umanistica e transpersonale (in cui comunque l’elemento junghiano era fortemente prevalente) era ancora affermata.
Con “La mente estatica” Fachinelli apriva una strada assolutamente innovativa ed originale. Tracciava il percorso per cui da Freud e da una posizione di tipo esistenzialistico si poteva pervenire alla considerazione degli esercizi spirituali e delle esperienze mistiche.
E lo faceva in modo radicalmente differente dal modo junghiano. Un modo ancora apparentato col lo spiritualismo quando non con lo spiritismo.
Per anni mi è stato difficile mettere insieme la mia formazione, relativamente simile a quella di Fachinelli, fatta di Freud, strutturalismo, antipsichiatria con l’esperienza dello yoga e del buddismo.
“La mente estatica” per la prima volta mi avvinse mostrandomi che era possibile ed era una via chiara, lucida, elegante. Una via dritta, coraggiosa, senza oscurantismi. Come nella sua natura.
Solo dopo questa pacificazione mi fu possibile intrecciare riflessioni e collaborazioni con amici e colleghi junghiani. Grazie al circolo della via Podgora a Milano (luogo di ritrovo di allievi di Silvia Montefoschi) e, soprattutto grazie e in nome dell’opera di James Hillman che, affermandosi, ha costruito un nuovo campo di lavoro in cui Freud e Jung sono integrati come credo sia giusto integrarli nella nostra epoca e nel nostro lavoro di questi anni.
Quanto può essere grande il mio “grazie” per tutto questo, Elvio?!!
Dormi il sonno dei giusti! Riposa nel paradiso dell’intelligenza e del senso critico!
Questa sera ho sentito che dovevo terminare queste note e poi, nei mesi ed anni a venire, potrebbe venirmi in mente di riaprire i libri di Fachinelli e di Freud. Quelli di Lacan e Deleuze li ho ripresi da poco. Lacan grazie a Denis Gaita e Romano Madera. Deleuze perchè ero proprio io ad amarlo!
Scusatemi se ho scritto imprecisioni, è possibile lo abbia fatto.
Elvio, i tuoi libri non li apro da almeno 20 anni ma mi sono sempre presenti. Quelli di Freud da almeno 30.
Freud è in uno dei ripiani più alti e lontani della mia libreria. Impolverati. Fuori di mano.
I tuoi invece li ho protetti in uno dei pochi spazi protetti dalla polvere con una vetrinetta.
Eri anche in via Solari, mi pare, a pochi isolati da qui.
I maestri son coloro che sanno scolpirci e forgiarci interiormente senza ossessionarci con la lora presenza. Ma non smettono di lavorarci dentro.
Vorrei terminare con un ultimo ricordo personale.
Tra l’85 e il 90 avevo una amatissima seconda casa nell’entroterra imperiese. A Civezza.
Frequentavo la spiaggia di San Lorenzo al mare. Mentre ero lì vedevo qualcuno passare… con libri e giornali. Procedeva oltre lungo la spiaggia, in una posizione maggiormente appartata….. Mi sembrava che assomigliasse molto a Elvio e lo avevo indicato a mia moglie. Le dicevo: Guarda, arriva lo pseudo-Fachinelli; ora, guarda, ripassa, torna e casa! Verso i condomini.
Come posso raccontare la mia emozione quando, pochi mesi dopo, acquistando “La mente estatica” scoprì che la pagina dell’esergo conteneva un riferimento, un ringraziamento alla spiaggia di San Lorenzo al mare. Lo pseudo-Fachinelli era Elvio davvero!
Che peccato, ero troppo piccolo per incontrarti. E non parlo di età anagrafica!
Buona notte a tutti
E’ quasi mezzanotte del 20 di aprile del 2009