Niguarda come Berlino

Niguarda come Berlino

Provo gratitudine per le ore e i giorni che questa estate mi ha offerto. Ho avuto tutto ciò che desideravo e ho chiesto.
Ho ricevuto anche qualcosa in più che non avevo desiderato, chiesto e previsto, ma, si sa, la vita, il seme germogliante o il soggetto della biografia, procede secondo un suo rigore. Elargisce una saggezza tutta sua, in certe occasioni. Imperdibili offerte.

Così, dopo i giorni del sole e del mar Jonio, dopo la ripresa di contatto con l’aria e la terra in cui affondano le miei origini, sentivo di non riuscire a riprendere il lavoro. Quel lavoro a porte chiuse che avrei desiderato e di cui avevo così chiare in mente le prospettive.

Dal 10 di agosto a casa, in una Milano metafisica che tutti conosciamo, in quei preziosi frangenti. Il deserto di Ferragosto.
Il corpo diceva no. E tu pensavi: è il caldo. E’ l’anima che si ribella. Dio sa cosa…
Come spesso avviene, non riuscendo a essere come Prometeo, dobbiamo accontentarci di essere Epimeteo, colui che capisce in ritardo. Sovente ci è dato di procedere solo così. E così ho proceduto nei giorni tra agosto e settembre.
Percorrendo la pista iperbolica tra la visita a domicilio del medico di base, il pronto soccorso e il reparto Medicina 2 dell’ospedale di Niguarda.
Era scoppiata una malattia che covavo da qualche settimana.

E questa è stata l’occasione di compiere un supplemento di vacanza del tutto particolare.
Anziché ricoverarmi in hotel, agriturismo o pensione a 3 stelle, sono stato ricoverato in ospedale.
Questa esperienza è stata occasione di molte riflessioni di carattere differente che già ho provato a cominciare a narrare.

Una prima considerazione è di carattere sociologico. Negli ultimi tre anni ho approssimativamente collezionato una decina di ricoveri. Quasi tutti in emergenza. Sempre in strutture pubbliche.
Malgrado gli effetti più che vistosi del taglio della spesa sanitaria (voluto peraltro da chi ha legittimato i nostri governanti di questi anni) qui da noi i malati che ne hanno bisogno, trovano un letto e, secondo la mia esperienza, sono trattati con umanità e competenza.
Non pretendo con questo di smentire gli altrettanto evidenti episodi di “mala sanità” testimoniati da altri, spesso altrove. Credo però che sia giusto testimoniare ciò che ciascuno vive ed incontra.
La mia riflessione pertanto mi porta a pensare che, malgrado le devastanti crisi economiche che colpiscono ciascuno di noi, ci siano ancora nel nostro paese forze morali capaci, per ora, di far fronte a situazioni difficili. Questo mi appare essenziale.

Per non restar nel vago, quando scrivo “forze morali” mi riferisco a medici e paramedici e intendo amore per il lavoro e volontà disinteressata di dedizione alla difesa della dignità della sofferenza. Parte così essenziale dell’esperienza umana. E, ovviamente non penso solo alla mia sofferenza, ma a quella dei miei compagni di stanza e di reparto.
Su richiesta, potrei, con discrezione, dettagliare ulteriori testimonianze vissute. Spero non ce ne sia bisogno. Vorrei narrare molte altre cose. Questa prima riflessione può andare a completare la riflessione iniziata qui il primo di maggio scorso e continuata nelle pagine successive.

Una seconda riflessione riguarda il mio modo di rapportarmi a questa esperienza. Una categoria di questo sito è dedicata al tema “Meditazione”.
Chi si occupa di ciò fa uso ed abuso di un termine decisamente inflazionato: Equanimità. È l’asse centrale di ciò che i buddhisti intendono come il Nobile Ottiplice Sentiero.
Più comunemente viene inteso come una presunta capacità di giudicare equilibratamente. Personalmente preferirei rinunciare a questa pia aspirazione. Non proverei nemmeno a rendermi oggetto di tale pietosa esortazione. Non credo al valore di alcuna esortazione.
Ho già dichiarato più volte che sono rassegnato al fatto che ognuno capisca ciò che vuole.

Preferisco limitarmi a cercare di descrivere ciò che sento e che mi par di vedere. L’unica esortazione, se mai, potrebbe essere quella di chiedere ad altri di fare altrettanto.
Ma ovviamente so che ciascuno lo fa e lo farà a modo suo… Benissimo! Non possiamo fermarci nemmeno su questo e per questo.

Io per “Equanimità” invece intendo la capacità di guardare una carogna con lo stesso atteggiamento con cui guardiamo un fiore.
L’espressione è mutuata da un discorso di Krishna ad Arjuna in Bagavad Gita. La prima psicoterapia offerta alla prima crisi d’angoscia della civiltà indo-europea. Occidentale. Ne trovate versioni italiane anche on-line.

Nel mio caso provo a guardare un ricovero ospedaliero come un singolare supplemento di vacanza come provo ad esplorare il nocciolo di sofferenza che credo ci sia in ogni “gioiosa” vacanza.
Alchemicamente cerco il cuore di tenebra nella luce e il lampo di splendore nascosto nella più fitta oscurità. La lontananza visibile al buio. Lo splendore delle tenebre.
Per compiere questo difficile compito occorre una grande attenzione e una grande concentrazione. Una notevole capacità di distinguere ciò che ci appaia essenziale da ciò che ci appaia inessenziale.
Occorre anche una intelligenza immaginativa ben esercitata.

È troppo semplice, troppo insoddisfacente cercare, a volte trovare, ciò che pensiamo la gioia nelle cose che immaginiamo gioiose.
Il motore del lavoro interiore comincia a cantare quando questi poli si invertono. Quando ci sorprendiamo a trovare un pizzico di gioia in un mare di sofferenza e viceversa. Quanta sofferenza sostiene il fondale di quella scena che ci siamo costruiti per voler gioire.

Probabilmente bisogna aver vissuto situazioni differenti. Aver conosciuto luoghi, persone, cose.
Questo è sicuramente nutrimento per tutti.

In effetti ciò che mi è capitato, guardando dalla finestra della mia stanza d’ospedale (veduta ripresa fedelmente nella prima immagine che appare nel video e nell’immagine-copertina di questa pagina) è stata l’intensificazione di una impressione che già ho avuto frequentando questo ospedale dai tratti per me così caratteristici.

Niguarda è una cittadella ospedaliera di chiara architettura originariamente fascista.
Un orgoglio architettonico del ventennio. Non senza notevoli squarci di bellezza.
Qualcuno ricorda viali alberati oggi devastati.
Non è difficile contemplare un notevole livello di decadimento negli edifici più vecchi.
Che novità! Vogliamo indignarci per questo?

Chi è stato a Berlino però cerca appositamente angoli decadenti e decaduti, decrepiti. Angoli sopravvissuti nell’ ex-Berlino-est in cui l’atmosfera non è molto diversa.
E molta architettura dei primi anni dei regimi sovietici non è molto differente dall’architettura fascista degli stessi anni.
Certo nelle cantine di Niguarda non è passato Nick Cave, David Bowie, Lou Reed e il fiore del dark-rock internazionale.
Ma Milano non è Berlino.
Ciò che sostengo, e che provo ad indicare a chi voglia e sappia guardare, è che Niguarda è come Berlino. Sottolineo il come che chiama in causa l’intelligenza immaginativa che ho appena invocato.
Fatte le debite proporzioni, queste due realtà manifestano gli stessi contrasti tra fatiscenze di un passato datato e impulsi di rinnovamento.
Sono riuscito a fotografare in quelle ore momenti di luce e scorci di panorama che mi appaiono evocativi.
Demando a loro ogni ulteriore argomentazione.

Ve li offro in questa video-presentazione che non può nemmeno definirsi casalinga o dilettantesca.
Non ho alcuna competenza come fotografo. E’ la prima volta che provo a redigere la presentazione di scatti al telefonino con i mezzi di routine che offre il mio computer.

Vi chiedo di accogliere le cartoline di questa mia suggestiva vacanza come un pensiero del cuore indirizzato a chi voglia, possa e sappia guardare.

L’occhio, la volontà inconscia che indirizza lo sguardo è evidentemente decisiva per un eventuale rinvenimento di senso. Vi chiedo, vi offro di guardare attraverso questo caleidoscopio che ho preparato per voi nell’augurio di riprendere una propizia stagione di lavoro.

Non avrei conosciuto Berlino se prima non avessi visto e rivisto le indimenticabili immaginazioni dell’intelligenza di Wim Wenders.
Senza Wenders, per me, niente Berlino. Senza Berlino non avrei percepito ciò che ho percepito di Niguarda.

Il percepirlo mi ha dato gioia in un momento di sofferenza. La mia intelligenza immaginativa ha redento il dolore di quelle ore.
Forse l’indicazione potrebbe essere utile ad altri.

Ho accompagnato le mie immagini-cartolina, per i motivi suddetti, con un brano di un cantautore rock tedesco.
Presto vi parlerò del mio amore per il rock tedesco.
Non perdetevi la suggestione delle asprezze consonantiche della lingua tedesca combinate con il ritmo graffiante del rock.
Anche qui, credo, bisogna aguzzare l’orecchio. Liberarlo da percorsi stereotipati. Liberare il vedere, il percepire.
È questo che, a me pare, ci chiede questa epoca cruciale.

Questa pagina è dedicata ai paramedici e ai medici del reparto Medicina 2, nel padiglione Brera dell’ospedale di Niguarda a Milano.
Che possa venire accolto come un ringraziamente per le cure e l’attenzione ricevuta.

Per potenziare alcune suggestioni del testo sono riuscito anche ad immortalare Angela Merkel, che con il nostro premier, ha visitato i malati dell’ospedale. A rendere testimonianza del fatto ho incluso, nell’immagine successiva, la bicicletta con cui è arrivata!

[youtube height=”HEIGHT” width=”WIDTH”]http://www.youtube.com/watch?v=95P8q5xVRus[/youtube]

 

4 pensieri su “Niguarda come Berlino

  1. BENTORNATO FRANCESCO
    ATTENDO GRATA E DELIZIATA LE SUE PROSSIME RIFLESSIONI E EVENTUALMENTE OCCASIONI DI INCONTRO UMANO /CULTURALE (POSSIBILMENTE AD ENTRATA LIBERA)

    1. Grazie! In queste ore sto giusto progettando ciò che lei chiede.
      Ne avrà presto notizia, spero proprio da qui!
      Sicuramente a Milano ma c’è possibilità anche di pensare a trasferte.
      Quanto all’entrata libera, sto valutando anche questo.
      Una cosa mi sento di dire con certezza.
      Credo che nessuno sia mai stato escluso da ciò che propongo per un motivo economico. Certo questo è il mio lavoro ma quando, come mi capita quando scherzo con amici, sottolineo il tema della mia parcella, è sempre per arrivare ad indicare qualcosa d’altro.
      Chi mi conosce un poco lo sa.
      Grazie dell’attenzione e, a presto, spero!
      PS Vive a Milano o è in grado di recarvisi per l’occasione?

  2. Prima di tutto, spero che ti sia rimesso e che sei tornato come nuovo 🙂
    Secondo FiNAlMENTE parole positive,atteggiamento positivo, non ne potevo più, meglio dire non ne posso più del negativo, mi sento a volte oppressa, intrappolata, schiacciata da chi mi sta intorno, dalle loro parole sempre negative ,del loro cogliere sempre il peggio, sentondomi quasi una aliena se non a volte quasi “stupida come un oca” perché sorrido davanti a tutti gli imprevisti che in solo mese mi sono capitati.
    Sono arrivata a mettere in atto una strateggia il gioco del “cerca il bello” ogni giorno almeno in una cosa, per non permettere “al negativo” di risucchiarmi e farmi perdere di vista quel che conta.
    Bel post, bello quello che scrivi di questi medici, bello avere testimonianza che ancora non siamo alla fine di tutto e il seme buono ancora si può espandere,coltivare e mietere.
    Carola

    1. Grazie, Carola,
      di questo commento posso solo ringraziare e condividere.
      Una qualche forma di pensiero positivo e di non-giudizio mi sembra il primo e imprescindibile passo di ogni percorso di evoluzione interiore.
      Il non-giudizio, in particolare, è qualcosa che andrebbe ripensato con cura.
      Non significa non-pensiero, infatti, ma un pensiero più agile e meno pre-giudicante, come cerchi di indicare anche tu.
      Grazie dell’attenzione
      a presto!

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